Ci sono cantanti che si impossessano di te.
Non c’è una vera ragione, ma è la magia del teatro, evidentemente.
Non sono i più grandi, non sono i più bravi, non hanno la voce più bella,non sono neanche sempre simpatici, eppure ti incatenano.
A me è successo con Magda Olivero, che ascoltai nel 1973 ne ‘La Dama di Picche’ a Trieste.
Si trattava di uno spettacolo di grande impatto, che contava sulla direzione del maestro Reynald Giovanninetti, le scenografie di Pizzi e la regia di Alberto Fassini.
Con la Olivero sul palcoscenico c’erano le voci importanti di Mario Petri, Ermanno Lorenzi, Giulio Fioravanti, Giorgio Casellato Lamberti.
La Olivero era la vecchia contessa, attorno alla quale si dipana la vicenda.
Prima compare da viva, gioca una partita a carte, muore e sul palcoscenico arriva il suo fantasma che in un’aria di agghiacciante potenza stramazza i presenti e spinge gli altri personaggi alle più orribili delle fini.
Vicenda noir di grande suggestione nella quale la sua apparizione spettrale fu impressionante: invecchiata da un trucco abile, con addosso un abito che riempiva il palcoscenico, inondava il teatro con la sua voce possente.
Sembrava cantasse anche con il solo sguardo, tanto era forte l’impatto.
Una figura fuori dal tempo, come un vero fantasma deve essere, agghiacciante ed incombente.
La sua contessa è magica, un po’ vittima ed un po’ strega, padrona del palcoscenico, si impossessa del pubblico che è in stupita ammirazione.
Per quel che mi riguarda posso assicurare che quella apparizione è stata indelebile ed ha reso inadeguate tutte le altre, poche, contesse che ho ascoltato.
Non perché non fossero brave. Perché erano inevitabilmente concrete, a fronte di un fulmine ultraterreno che si era abbattuto sul Verdi quella sera del 1973.
Attorno alla Olivero il dibattito è sempre stato acceso: i suoi ammiratori la trovano divina, assoluta; i detrattori dicono che ha una brutta voce, che si sentono i vibrati ed i respiri.
Chi la ama la descrive donna sensibile e gentile, chi invece le è ostile ne parla come una creatura spietata, impietosa.
Personalmente la incontrai una prima volta dopo lo spettacolo.
Pur stanca fu cortese e disponibile, mi chiese se mi era piaciuto, autografò il progamma e mi diede una foto firmata.
Non posso dire abbia brillato di comunicativa, ma neanche che sia stata distaccata; probabilmente ero io ad essere a distanza, come si fa quando si ha paura di rompere un meccanismo fragile: quello generato dal carisma innegabile della Signora.
Vent’anni dopo, a Codroipo, in occasione della consegna del ‘Plinio d’oro’, la incontrai nuovamente.
Intervenne alla manifestazione senza cantare, nonostante avesse da poco inciso ‘Adriana Lecouvreur’, cercò di essere simpatica ricordando strane storie di mucche che Clabassi le raccontava quando erano stati insieme in tourneè, ma in realtà ancora una volta la platea era sua qualunque cosa avesse detto o fatto.
Mi resi conto che la rete nella quale mi aveva catturato anni prima era ancora lì.
Morgana e Circe erano delle dilettanti al suo confronto.
La cosa ancora più clamorosa fu che dovettero spingermi per chiederle di autografarmi il programma, perché avevo più imbarazzo di un bimbo.
Quasi fossimo tornati a quella ‘Dama di Picche’ di vent’anni prima, solo che adesso mi ero laureato, avevo realizzato mostre, ritrovato bozzetti importanti, scritto cataloghi.
Lei firmò, disse qualche parola e sparì.
Cortese e fuggevole.
Non so in cosa consista il fascino di questa donna.
La voce non è bella secondo i criteri canonici . Ma a me fa venire i brividi e trovo che saper esporre in quella maniera i difetti facendoli diventare punti di forza sia una lezione di vita che non ha rivali.
Le tarde registrazioni alle volte fanno sentire dei respiri quasi latrati. Ma a me emozionano anche quelli, anzi mi struggono e quasi materializzano la fatica di vivere di certi personaggi.
I filati sono inarrivabili e per quel che riguarda la tecnica, immagino nessuno pensi di poterla mettere in discussione.
Un indefesso studio le ha permesso il raggiungimento di quei risultati e la severità di cui l’accusano alcuni allievi non è mai stata ottusa freddezza, ma consapevolezza della necessità di consolidare le basi per riuscire a camminare con le proprie gambe, non sulla spinta di qualche abile agente.
Essere severi non vuol dire essere spietati. Vuol dire avere a cuore la sorte dei propri allievi, conoscere i disastri che le mancate illusioni possono generare, aver avuto dimestichezza con le frustrazioni di un mondo che troppo spesso non riconosce il giusto valore al talento, che proprio per questo deve essere solido e sempre affidabile.
Per non cadere mai nella questua di un applauso di cortesia.
Forse quello che nessuno ha saputo fare come lei è stato vestirsi del personaggio, renderlo credibile, anche nelle imperfezioni.
Ha superato i confronti con le altre primedonne del suo tempo, prima fra tutte la Callas, perché non è stata in gara con le colleghe, ma con se’ stessa.
Non alla ricerca di un modello da superare, ma di un personaggio da far ritornare persona per una nottata.
Ma non penso questo possa bastare per spiegare il carisma magnetico della Olivero.
A me sembra suggestivo pensare che il rapporto di questo soprano con la sua voce sia stato combattuto, un po’ come di dice di certi Santi e la Fede.
Iniziò la carriera ed ebbe successo.
Incontrò il futuro marito, si sposò, perse un bambino e decise di ritirarsi dalla scene.
Rimase lontana per nove anni. Non ci furono altre auspicate gravidanze.
Quello che la convinse al rientro furono le insistenze del Maestro Cilea, che voleva ascoltarla ancora una volta in ‘Adriana Lecouvreur’, prima di morire. Il soprano rientrò in scena, ma il compositore morì prima del debutto.
In ogni caso la carriera ripartì e fu lunghissima, con invasioni di palcoscenico da parte del pubblico, quasi fossimo davanti ad una rock star, e grandi ostacoli da parte di alcuni teatri, primo fra tutti il Metropolitan, nel quale esordì sessantacinquenne.
Si ritirò quando il marito morì, ma anche in questo caso fu un ritiro per modo di dire, visto che ogni tanto appariva in un concerto, cantava in chiesa, duettava con gli allievi, incideva un’opera.
Addirittura cantò in pubblico un frammento della ‘Francesca da Rimini’ ben oltre i novant’anni :‘Datemi pace’.
Sembrava quasi felice, guardando il filmato, che la sua voce rivelasse dei cedimenti, mostrasse i segni del tempo.
Lo strumento era diventato fallibile, anche se comunque incredibile, ma questo non impedì che il brano fosse magnetico ed intenso, grazie ad una infallibile tenacia e bravura nel portare a termina la frase musicale, rendendola intensa fino quasi al misticismo, grazie all’intensità che il soprano aveva saputo distillare dalla sua vita in quel brano.
Penso, senza saperlo, che la Olivero abbia combattuto tutta la vita con la sua voce.
Padrona di uno strumento, ma prigioniera dell’Arte, che la voleva in scena.
La donna lottò per una vita normale, ma fu sconfitta: dovette piegarsi al volere della musica.
Lei era Adriana Lecouvreur, non per scelta ma per sorte.
Non poteva non essere l’umile ancella ed a quella missione, ad un certo punto, dedicò tutta se stessa, conscia , o forse arresasi all’idea, che la vita non le lasciava via di scampo, possibilità di scelta.
Allora anche quella certa distanza non era arroganza, ma bisogno di esistere, di cercare di difendere uno spazio personale, per impedire alla cantante di avere il sopravvento su tutto.
La Olivero era una sorta di Medea, che immola, più che i figli, Magda sull’altare del palcoscenico.
Non perché voglia, ma perché la tragedia greca non permette vie di fuga. La fortuna e la sciagura dei prescelti.
Capito questo, si gettò a capofitto nella sfida, vincendo ogni volta.
Non per un applauso, ma per credere nella propria forza.
Per scrivere comunque le pagine dell’esistenza, o almeno interpretarle da vera protagonista.
Nel repertorio affrontò ruoli diversissimi, cantando spesso anche autori contemporanei come Malipiero e Poulenc.
Imprevedibile ed affidabile, passò la vita cantando ed alla fine cantò vivendo sul palcoscenico.
Non morì avvelenata dalle violette, come Adriana, ma profuma ancor oggi di passione i ricordi di chi avuto il dono di ascoltarla in teatro.
G.M.
Una pagina dell'album dei ricordi della signora Mafalda Micheluzzi, che ritrae lei e Magda Olivero in occasione delle celebrazioni mascagnane del 1951
Ascolti
Una pagina di televisione: Magda Olivero canta il duetto delle ciliegie da ‘L’Amico Fritz’ con Claudio Villa al Musichiere. La signora, fra il divertito e lo spaventato riesce a tenere a bado l’irruente cantante romano ed alla fine ci consegna una piacevole pagina di spettacolo
La signora Olivero amava il repertorio contemporaneo. La ascoltiamo in ‘Giunge il Treno’ dalla ‘Resurrezione di Franco Alfano, che il soprano studiò con compositore e sua moglie Marta .
Questo video è statoregistrato nel 1964 a Napoli nel solito modo dell';epoca: è stato sincronizzato con una registrazione audio già esistente. In questo caso, è stata utilizzata una trasmissione radiofonica dell'aria di Katiusha, registrata il 18 febbraio 1957 a Firenze.
Quando vennero organizzate le cerimonie per la commemorazione di Mascagni, la signora Olivero intrerpretò ‘Iris’, affiancata da Mafalda Micheluzzi, fra gli altri.
Ecco la sua interpretazione scenica della povera fanciulla in un video del 1964
Un’anziana Magda Olivero introduce questo video del 1964 con ‘Sempre libera’ da ‘La Traviata’
Durante la sua tournée lirica del 1964 a Rio de Janeiro, Magda Olivero ha interpretato in un mese quattro ruoli decisamente impegnativi: Margherita in Mefistofele, Tosca, Minnie in La Fanciulla del West e Adriana Lecouvreur, tutti sotto la direzione del Maestro Molinari Prandelli.
Questa è ‘L’altra notte in fondo al mare’ dal Mefistofele
Alla Bussoladomani di Camaiore nel 1976 viene organizzata una commemorazione pucciniana. Magda Olivero propone ‘Sola perduta abbandonata’ dalla ‘Manon Lescaut
Il 27 ottobre 1979 la signora Olivero tiene un concerto alla Carnegie Hal. Il soprano aveva 60 anni, il programma prevedeva 19 brani e questi sono gli ultimi due, in una registrazione di fortuna ma decisamente preziosa.
Siamo nel 1993. La signora Olivero partecipa alla prima edizione del premio Vinas del Mar. E’ previsto un concerto finale, ma la collega che doveva esibirsi si ammala e la Olivero accetta, ad ottantatre anni,
di sostituirla. Si tratta di un impegno imprevisto, al quale teoricamente era impreparata. A fronte del rischio di deludere il pubblico degli appassionati intervenuti, accetta e con la determinazione e la passione che le erano proprie ci regala queste arie.