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IOLANTHE
Opera in tre atti di Arthur Sullivan
su libretto di William Schmeck Gilbert
Direttore: Chris Hopkins
Regia: Cal McCrystal
Scene e costumi: Paul Brown
Personaggi e interpreti
Strephon Marcus Farnsworth
Phyllis Ellie Laugarne
Iolanthe Samantha Price
Lord Cancelliere John Savournin
Fata Regina Catherine Wyn-Rogers
Lord Tolloller Ruairi Bowen
Lord Mountararat Ben McAteer
Celia Llio Evans
Leila Bethan Langford
Fleta Petra Massey
Soldato Willis Keel Watson
Paggio Adam Brown
Captain Shaw Clive Mantel
Luci: Tim Mitchell, riprese da Ian Jacskon-French
Coreografia e movimenti scenici: Lizzi Gee
Maestro del coro: Martin Fitzpatrick
Durante il regno della regina Vittoria, mentre l’Europa continentale danzava al ritmo dei walzer e delle operette viennesi, in Inghilterra, il librettista William Gilbert e il compositore Arthur Sullivan sfornavano una sequela di opere comiche che non hanno nulla da invidiare ai propri omologhi a firma di Strauss o di Lehár, di cui anzi riprendono molti stilemi armonici, attingendo a quella che allora era evidentemente una tradizione comune. Questi gioiellini operistici, che in patria godono ancora oggi di una popolarità enorme, sono però quasi sconosciuti al di fuori dei paesi anglofoni; questo è un vero peccato, non solo perché si tratta di pezzi dal grande valore musicale ed incredibilmente divertenti, ma anche perché forniscono un ritratto delle virtù e dei vizi degli Inglesi più fedele di quanto loro stessi vorrebbero ammettere (e che può anche spiegare recenti eventi come la Brexit). Un esempio perfetto in questo senso è l’operetta Iolanthe, andata in scena per la prima volta al Savoy Theatre di Londra nel 1882, e di cui la English National Opera londinese propone in questi giorni una produzione particolarmente riuscita.
La trama è incentrata su Strephon, pastore arcadico, immortale fino alla cintola ma con le gambe umane perché figlio mezzosangue di un mortale e della fata Iolanthe, che, per l’hybris commessa sposandosi al di fuori della propria magica specie, viene bandita dal regno delle fate dalla sua regina. Strephon è innamorato (ricambiato) di Phyllis, incantevole fanciulla che, essendo orfana e ancora minorenne, si trova sotto la tutela del Lord Cancelliere (anch’egli invaghito della ragazza) che ha il compito di darla in sposa ad uno dei membri della Camera dei Lords, che ovviamente fanno la fila per averla. I due amanti progettano di sposarsi in barba ai Lords, ma tutto va all’aria quando Phyllis scopre il fidanzato abbracciato ad un’altra donna, la madre Iolanthe, che essendo una fata non invecchia e sembra tanto giovane quanto il figlio; così, la fanciulla, ferita dal supposto tradimento, si getta fra le braccia dei suoi nobili pretendenti. Alla fine tutto verrà risolto dalla Fata Regina che, con il suo tocco magico, nominerà Strephon parlamentare e leader di partito sostenuto da una maggioranza bulgara che, passando anche attraverso esilaranti momenti di satira politica, gli permetterà di metter in riga i vari Lords e chiarire l’equivoco con Phyllis, che tornerà di nuovo fra le sue braccia.
In questa occasione, l’opera nazionale inglese rispolvera lo splendido allestimento a firma di Cal McCrystal con le scene e i costumi di Paul Brown, già andato in scena nel 2018 e da allora ripreso varie volte sempre con grande successo. Nonostante alcuni molto appropriati riferimenti al presente (vedi il parruccone biondo alla Boris Johnson di un membro del coro), la regia è scrupolosamente fedele all’epoca e ambientazione originali. La messinscena è curatissima e grandiosa, senza risparmio di uomini e di mezzi, con svolazzanti uccelli colorati, pecorelle, mucche, cavalli, fenicotteri, unicorni e quant’altro riprodotti a grandezza naturale e semoventi, entrata in grande stile dei Lords su una locomotiva a vapore con tanto di scintille, e svariati colpi di teatro di grande impatto. Si ride di gusto dall’inizio alla fine. Talvolta si rischia anche l’eccesso con un continuo di scenette comiche che, pur gradevoli, disturbano l’ascolto di alcune delle più belle pagine di cui è disseminata l’operetta come il duetto fra Strephon e Phyllis del primo atto e il quartetto ‘Though p'r'aps I may incur thy blame’ nel secondo atto. Le luci ben studiate e variegate di Tim Mitchell, riprese da Ian Jacskon-French, completano perfettamente la scena, rendendo efficacemente ora la verzura, ora la luce magica per l’arrivo delle fate, ora le ombre proiettate dai finestroni del parlamento di Westminster.
L’orchestra della English National Opera propone un suono bello e rotondo, al netto di qualche passaggio in cui gli archi potrebbero essere più leggeri. La direzione precisa e attenta di Chris Hopkins garantisce un’ottima sincronia fra buca e palcoscenico. I tempi tuttavia sono a tratti un po’ troppo dilatati, cosicché si perde un po' il brio ed il ritmo incalzante che opere come questa dovrebbero sempre avere. Maiuscola la prestazione del coro dell’opera nazionale inglese che, pur costantemente falciato da tagli e ridimensionamenti, continua a mostrare una professionalità e abilità encomiabile, sfoggiando sempre un suono ricco e compatto ed essendo capace di svolgere complessi movimenti coreografici e di giocoleria mentre canta.
Venendo ai solisti, Marcus Farnsworth, nella parte di Strephon, ha una voce dal timbro caldo, rotondo ed uniforme. Grazie ad una tecnica solida e ad una emissione fluida, riesce a gestire con naturalezza una parte che tende a svilupparsi lungo un a volte scomodo registro baritenorile. La recitazione è molto gradevole, rendendo perfettamente tutti i lati comici ed umoristici del ruolo, pur mantenendo sempre il senso della misura. Di pari, Ellie Laugarne (Phyllis) sfoggia una vocalità debordante, con intonazione perfetta, dizione chiarissima, abbondanza di virtuosismi e acuti facili e brillanti. Il soprano inglese mostra anche una dirompente presenza scenica, rendendo con grande carattere tutti i vari risvolti del personaggio, ora dolce innamorata, ora donna indignata dal tradimento, ora femmina scaltra. John Savournin, nel ruolo del Lord Cancelliere, ha bella voce e canta bene, ma manca del guizzo necessario per trionfare in quella che di solito è una delle parti comiche di punta, cavallo di battaglia di colonne dell’operetta britannica come John Reed. Samatha Price è una Iolanthe intensa e appassionata nei momenti lirici (commovente l’aria ‘My lord, a suppliant at your feet’) e allo stesso tempo dotata di grande temperamento nei momenti comici.
Catherine Wyn-Rogers equipaggiata con tutto l’armamentario fatato del caso, dalle ali brillantinate, al manto stellato, alla bacchetta che lancia fiamme vere sul palco, propone una interpretazione autorevole della Fata Regina, che plana sul palco appesa per le spalle con il carisma di una valchiria. Bene anche Llio Evans, Bethan Langford e Petra Massey nella parte rispettivamente delle fate Celia, Leila e Fleta. Ben McAteer è un Lord Mountararat dalla voce tonante e dalla dizione scolpita. Ruairi Bowen, nel ruolo di Lord Tolloler, ha una bellissima voce da tenore leggero dai colori argentei. Sicuro ed estremamente incisivo nei concertati e nelle parti recitate sembra però un po' titubante nella sua aria ‘Spurn not the nobly born’. Keel Watson, nella parte del soldato Willis, propone un’esecuzione stentorea della nota aria ‘When all night long a chap remains’. Molto bene anche gli attori Clive Mantel nella parte di Captain Shaw, pompiere che fa da prologo comico ai vari atti e Adam Brown nella parte prevalentemente mimica del paggio del Lord Cancelliere. Alla fine grande successo e grandi applausi per tutti. Per chi si trovasse a Londra in questi giorni, lo spettacolo è in scena fino al 25 ottobre.
di Kevin De Sabbata
Photo Credit: Craig Fuller