GHENA, REGINA UMILE
Ghena Dimitrova è una di quelle artiste che se la ascolti dal vivo non te ne dimentichi .
Il disco non le rende giustizia ed anche i video che si possono vedere restituiscono solo in parte onore ad un talento innegabile ed ad un mezzo vocale ricchissimo.
Quando Lucia Mazzaria, che le fu sensibile amica oltre che intelligente collega, le chiese quale fosse il segreto di un suono così potente, la risposta, invece che chissà quale esercizio raffinato e che tecnica di respirazione segreta, si sentì dire che era nato dall’abitudine di parlare da una collina all’altra con la cuginetta, da bambine.
Il soprano, nata in un piccolo paese della campagna bulgara non ha avuto una vita facile, fatto che forse spiega quella espressione che aveva in scena, quell’apparire velata di malinconia, come se non riuscisse a volare via da chissà quali fantasmi.
Iniziò a studiare canto alla fine delle superiori, non senza una certa opposizione del padre che avrebbe preferito che diventasse medico.
Di famiglia poco abbiente si mantenne facendo la lavapiatti alla mensa del Conservatorio .
Questo lavoro umile la fece prendere di mira dai compagni di studi, che non perdevano occasione per metterla in imbarazzo, ma umiltà, passione, tenacia e capacità di sacrificarsi sono da subito caratteristiche distintive della cantante , che le manterrà nel corso di tutta la carriera.
Alla fine degli anni Sessanta il teatro di Sofia la assunse come comprimario e questo la mise subito in evidenza, tanto che nel 1967, dopo la rinuncia di altri due soprano, le venne affidata, con una settimana per preparare il debutto, la parte di Abigaille in Nabucco, ruolo che la accompagnerà per tutta la carriera.
Fu un meritato trionfo che la fece diventare una colonna di quel teatro finché una borsa di studio le permise di frequentare, a Milano, i corsi di perfezionamento della Scala tenuti da Renato Pastorino, Enza Ferrari, Renata Carosio e Gina Cigna, il famosissimo soprano con cui condividerà tanti ruoli.
Nel 1972, vinse il IV concorso ‘Toti Dal Monte’ cantando un’aria di Un Ballo in Maschera, titolo peril quale verrà subito ingaggiata al Regio di Parma, accanto a Carreras e Cappuccilli.
Ancora un successo che a questo punto aprì le porte dei grandi teatri internazionali per un quarto di secolo.
Sempre a Treviso, nel 1975, debuttò Turandot, uno dei suoi ruoli più importanti.
Si tratta di un personaggio complesso scenicamente, ma ancor più vocalmente, una di quelle parti che distruggono la voce.
La Dimitrova lo interpreterà senza nessuna incertezza fino al 2000, confermandosi sempre una artista di riferimento per il ruolo della principessa di ghiaccio, interpretata senza ostentazione o supponenza, con la modestia e la correttezza di una interprete che canta il ruolo come sa, in cerca di una emozione che fosse autentica, nella quale si potesse riconoscere, senza abbellimenti o gigionerie.
Uno strumento vocale tanto poderoso non temeva i teatri all’aperto: per circa venti anni, fino al 2000, sarà un pilastro della programmazione all’arena di Verona, dove canterà 4 edizioni di Nabucco e di Turandot, 3 di Aida, oltre a Macbeth, Forza del Destino, Loreley, Gioconda e Cavalleria Rusticana.
La Scala la consacra il 7 dicembre 1983: è una grandissima Turandot, accanto a Domingo in stato di grazia ed a Katia Ricciarelli, intensa Liù.
Per tutto il decennio sarà protagonista di memorabili spettacoli al massimo teatro milanese, della gran parte dei quali fortunatamente esiste la registrazione video : I Lombardi alla prima crociata nel 1984 con la direzione sapiente del Maestro Gavazzeni , la regia di Gabriele Lavia ed una compagnia di canto con Carreras, Roni, Bini, Carroli , Manganotti, Foiani, la Bocca e la Vannini, in un allestimento che verrà ripreso anche nel 1986 diretto da Fulton, con un cast nel quale brillava Alberto Cupido ; Macbeth (1985),nella ripresa del celebre allestimento di Strehler, accanto a Cappuccilli, Ghiaurov, Dvorski e Donati; Aida, come rigogliosa Amneris per l’inaugurazione della stagione 1985-86, accanto a Chiara e Pavarotti, in un allestimento che, nel corso delle repliche, la vedrà vestire con successo anche la parte della schiava etiope; Messa di requiem diretta da Maazel nel 1986; un celebrato Nabucco, accanto a Bruson, Beccaria, Burchuladze e la Pierotti che inaugurò la stagione 1986-87 e venne ripreso l’anno dopo, in una stagione che la vide protagonista anche di Cavalleria Rusticana, accanto al poderoso Giacomini e Turandot, affiancata ancora una volta dalla Liù di Lucia Mazzaria; nel 1989, Tosca, in un allestimento nel quale si alternava a Maria Guleghina.
Il rapporto intenso con la sala del Piermarini si chiuse con la tournee in Russia del 1989, ancora una volta mitica principessa di ghiaccio.
Seguirono successi internazionali epocali, fino al ritiro , nel 2001.
Prima della morte, nel 2005, si dedicò all’insegnamento.
TECO IO STO’
Note distintive della voce di Ghena Dimitrova erano una amplissima estensione, un volume iperbolico , un rigore tecnico ed ancor più morale che la faceva essere potentissima ma mai sopra le righe, mai fuori controllo, mai prevaricante sui colleghi.
Poteva coprirne la voce, ma mai calpestarne il lavoro o mettere in ombra il loro contributo allo spettacolo.
La grandezza della Dimitrova, però, va oltre la voce.
Tanto è vero che quando le accadde di abbassare qualche tono, magari perché ammalata, nessuno mai ebbe da ridire.
Quello che il pubblico percepiva era l’affidabilità della persona, la serietà dell’artista, che avrebbe dato tutto quello che aveva per rendere onore allo spettacolo ed a chi era andato in teatro per lei.
Lo fece anche la terribile sera in cui le comunicarono solo al calare del sipario che il marito Giorgio era morto in un incidente stradale.
Chi la conosceva bene racconta che Ghena ed il marito erano una coppia affiatatissima.
La ferita dello strappo non si cicatrizzò mai e l’espressione severa della Dimitrova si velò d malinconia perenne.
Continuarono i trionfi, il Metropolitan le offrì spettacoli epocali, il pubblico la gratificava, ma ormai quella donna d’acciaio che aveva sopportato umiliazioni e fatica poteva sorridere alle platee, ma certamente non nel suo cuore.
Disse cha cantava per non morire e sicuramente era vero che quello che la tenne in vita fu il profumo delle emozioni che avevo condiviso con il consorte, che riuscì per un po’ a riassaporare nell’applauso affettuoso del pubblico. Quando anche questo non portò più sollievo, il sipario si chiuse.
L’avevo ascoltata negli anni Ottanta e la ritrovai ancora una volta Turandot, a Venezia, nel 1992.
Il marito se ne era andato da qualche mese e lei aveva deciso di onorare quel contratto che celebrava i due secoli della Fenice.
Era una regina di ghiaccio severa nelle movenze e spietata nello sguardo, che chissà con quanto strazio cantava il duetto finale d’amore.
Ma nessun cedimento. Quasi che le lacrime versate avessero rafforzato il già strabordante mezzo vocale, peraltro unico strumento per evadere da un dolore che il tempo non mitigò, per continuare simbolicamente quel viaggio iniziato in coppia tanti anni prima e che si concluderà in una umile e piccola tomba nera che li unisce per l’eternità nel cimitero di Sofia.
Il tormento interiore che tanto la devastava non si trasformò mai in rancore verso la vita e non le impedì mai di mostrare sostegno, affetto verso i colleghi.
La Mazzaria, che fu Liù con lei a Venezia, alla Scala, al Covent Garden, ricorda la carezza materna del suo sguardo, le parole gentili, la disponibilità. Prima e dopo la tragedia.
Soffriva in solitudine, disponibile a condividere il dolore con poche persone, non per alterigia, ma all’opposto per discrezione, misura, educazione.
Mazzaria capì bene quel momento e cantò puntando alle sfumature, all’eleganza dei colori, alla costruzione anche scenica di un personaggio completamente diverso da quello della protagonista, la cui veemenza vocale veniva in questo modo ulteriormente esaltata.
Non un duello fra primedonne, ma un incontro raffinato fra due artiste vere, che però non bastò per far uscire i fantasmi che invece continuarono sicuramente a stropicciare i sogni della Dimitrova, artista dalla tecnica solidissima, con una estensione che andava, nel periodo migliore, dal fa diesis grave al re bemolle sovracuto, ma soprattutto una donna che, per quanto avesse accettato umiliazioni e sofferenze per poter esprimere la propria arte , aveva piena consapevolezza di non poter e non volere vivere senza Amore.
di G.M.
Ghena Dimitrova e il marito Giorgio Stoykov
Ascolti
Ghena Dimitrova interpreta ‘Una macchia è qui tutt'ora’ dal Macbeth al Teatro di San Carlo di Napoli nel 1984
La Dimitrova, con il suo mare di voce, è stata una vera beniamina dell’Arena di Verona. Qui canta la cabaletta ‘Chi s'avanza?... Salgo già del trono aurato’ del Nabucco, nel 1981.
Coloro che non apprezzarono il soprano bulgaro l’accusarono di giocare tutto sull potenza del mezzo vocale e di non avere una gamma di colori morbidi ed appassionati. A riprova di quando sbagliassero, queato ‘Casta Diva’, cantato in concerto a Mosca nel 1980.
Ghena Dimitrova è stata Turandot di riferimento. Qui la sua principessa di ghiacchio, in Arena, nel 1983. Accanto a lei Nicola Martinucci, Cecilia Gasdia, Gianfranco Manganotti, diretti da Maurizio Arena
Per concludere una stupenda Turandot di Macerata del 1986 recentemente messa su youtube con una Dimitrova in forma smagliante, insieme a uno splendido Martinucci e un cast eccellente in cui figurano Ricciarelli, Luperi, Ceccarini, Pane e De Palma. Direttore M° Daniel Oren (con cast similare esiste dello stesso periodo anche la Turandot in CD edita da Nuova Era/Arts)