LA BOHÈME
opera in quattro quadri di Giacomo Puccini
su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
il libretto è tratto dal romanzo Scènes de la Vie de Bohème di Henri Murger
Direttore: Kevin John Edusei
Regia: Richard Jones ripresa da Danielle Urbas
Scene e costumi: Stewart Laing
Personaggi e interpreti
Mimì Ailyn Pérez
Rodolfo Juan Diego Flórez
Marcello Andrey Zhilikhovsky
Musetta Danielle de Niese
Schaunard Ross Ramgobin
Colline Michael Mofidian
Benoît Jeremy White
Alcindoro Wyn Pencarreg
Parpignol Andrew Macnair
Sergente dei doganieri Thomas Barnard
Doganiere John Morrissey
Luci Mimi Jordan Sherin
Direttore dei movimenti scenici Sarah Fahie
Maestro del coro William Spaulding
Venerdì scorso è andata in scena, al Covent Garden di Londra, la prima rappresentazione della produzione 2022 della Bohème pucciniana proposta dalla Royal Opera House. Elemento principale di curiosità della recita, per gli appassionati di voci, era la presenza, fra il cast di altissimo livello, di Juan Diego Flórez nella parte di Rodolfo, ruolo piuttosto fuori dal suo repertorio e, dirà qualcuno, anche azzardato per la sua vocalità. Così, in questa occasione, il tenore era aspettato al varco ancora più del solito.
Il cantante peruviano mostrava anche in questo ruolo, che sosteneva per la seconda volta dopo il debutto a Zurigo nel 2020, tutta la sua classe. Di lui si apprezzava la grande maestria attoriale, l’intensità e la giusta intenzione in ogni passaggio, che regalavano un Rodolfo romantico e appassionato. Il fraseggio era elegantissimo, con bei colori e sublimi mezze voci (notevole in questo senso il duetto con Marcello ‘O Mimì tu più non torni’), efficace soprattutto nei declamati e nelle frasi scoperte o con leggero accompagnamento orchestrale. Dopo Carreras è difficile trovare un Rodolfo con questo livello di dettaglio e sensibilità. Tuttavia, anche l’alata arte della musica è (ahimè) soggetta alle leggi della fisica. Il timbro vocale di Flórez si sposa bene, in teoria, con il personaggio di Rodolfo, in quanto trasmette la natura giovanile e sognatrice del personaggio, che a volte rischia di andare un po' persa nelle esibizioni di tenorismo frequenti in questo tipo di repertorio. La voce, però, risultava veramente troppo leggera. In vari momenti Flòrez se la cavava grazie ad un indubbio mestiere e ad una direzione ben attenta a non coprirlo. Ma non appena l’orchestra cominciava a suonare un po’ si faticava a sentirlo. Nei concertati era spesso coperto dai colleghi e gli acuti mancavano di volume. Così, il do sulla ‘speranza’ non dava le consuete emozioni. In ‘Mimì è tanto malata’ il cuore dello spettatore non vibrava completamente con quello di Rodolfo, perché molte di quelle vibrazioni proprio non arrivavano all’orecchio. A Zurigo, la sua performance fu salutata dai critici come un trionfo. Io piuttosto direi, modestamente, che si è trattato di un esperimento a tratti anche emozionante, ma da non ripetere.
Tutto ciò è ancora più evidente se si considera che la parte di Mimì era sostenuta da una Ailyn Pérez con tutte le carte in regola, sia vocali che sceniche, per essere una splendida Mimì. La voce spiccava per il colore brunito, pastoso, omogeneo, con acuti grandi e sonori (soprattutto rispetto a quelli del partner). Il fraseggio era accurato e la dizione ben intellegibile. Unici aspetti perfettibili alcuni salti un po' faticosi all’inizio della serata e alcuni momenti in cui potrebbe essere stata più precisa e disciplinata per quanto riguarda il ritmo e il coordinamento con l’orchestra. Ma il punto di maggior forza stava sicuramente nella recitazione. Pérez era Mimì in ogni minimo gesto, nel modo di chinare il capo, nella posizione delle mani, nello sguardo timido, che trasmettevano tutta la virginale dolcezza del personaggio. La recitazione era sempre intensa, ma estremamente naturale, mai sopra le righe. In questo senso la sua ‘Sì, mi chiamano Mimì’ risultava di grande impatto emotivo.
Andrey Zhilikhovsky, nella parte di Marcello, cantava con generosità e slancio, potendo contare su una voce calda e potente, e su di una solida tecnica. Sempre sul pezzo dal punto di vista scenico era molto efficace come spalla di Rodolfo nel primo e soprattutto nel quarto quadro, in cui, perfettamente in linea con Flòrez, dava un’interpretazione sensibile e ricca di colori del duetto. Migliore in campo della serata, sia per la maiuscola prestazione vocale che per la dirompente presenza scenica, Danielle de Niese. Dotata di una voce sensuale, rotonda e ricca di sfumature, proponeva una Musetta di grande fascino, che andava al di là delle interpretazioni da soubrette che spesso si sentono, ammaliando con un timbro voluttuoso e vellutato. La dizione era sempre scolpita e il fraseggio gestito con grande classe e musicalità. La parte consentiva al soprano australiano di dar sfogo a tutto il suo temperamento e verve attoriale, anche a rischio di risultare un po' troppo sopra le righe in alcuni passaggi. In ogni caso, la sua scena del secondo quadro la mostrava in tutto il suo splendore come la grande attrice che è, regalando un momento estremamente godibile condito da varie risate da parte del pubblico.
Molto buone le parti di fianco. Ross Ramgobin, che interpretava Schaunard, sfoggiava una esuberante presenza scenica e un notevole talento comico, enfatizzando il carattere estroverso ed eccentrico del personaggio. Purtroppo l’emissione era a volte indietro, facendolo risultare spesso opaco nella zona acuta. Michael Mofidian, Colline, si faceva notare per la bella voce. La sua Vecchia zimarra risultava ben cantata, anche se mancante a tratti di pathos. Jeremy White, nella parte di Benoît, offriva un’interpretazione caratterizzata da grande cura per i dettagli ed i gesti, che ricordava un po' l’Italo Tajo degli anni ’80. Buono ed efficace Wyn Pencarreg nel ruolo di Alcindoro ed adeguati Wyn Pencarreg (Parpignol), Andrew Macnair (Sergente dei doganieri) e Thomas Barnard (un doganiere).
Kevin John Edusei, alla guida dell’Orchestra of the Royal Opera House, accompagnava bene i cantanti, forse anche a rischio di lasciarli fare un po' troppo. Ciò portava a dei rallentandi a volte troppo vistosi e a perder un po' di compattezza in alcuni momenti. In questo senso il tempo dell’aria di Musetta ‘Quando me’n vo’ ‘ risulta decisamente lento e si perdeva l’andatura del Valzer. Il direttore cercava il più possibile di valorizzare le voci, facendo sempre attenzione a non sovrastarle. Tuttavia, il rovescio della medaglia era che l’orchestra dava spesso l’impressione di suonare con il freno a mano tirato. Al netto di alcuni momenti suggestivi (si vedano ad esempio gli interventi degli archi nel duetto del terzo quadro), il suono orchestrale spesso mancava di quella magia e drammaticità che ci si aspetta in una Bohème. In questo senso, il finale risultava meno travolgente che in altre edizioni. Molto buona la prova del Royal Opera Chorus, solido, compatto e sempre efficace.
L’allestimento era quello del 2017, diretto da Richard Jones, con le scene e i costumi di Stewart Laing, ripreso regolarmente in questi anni (e a ragione) dalla Royal Opera House. Questa produzione è un esempio di come si possa essere moderni ed esteticamente innovativi con eleganza e rimanendo fedeli all’ambientazione originale. Le scene sobrie, in alcuni casi quasi dal design scandinavo (si veda l’appartamento di Rodolfo e Marcello nel primo e quarto quadro) restituiscono comunque tutta l’atmosfera della Parigi fin de siècle, anzi la esaltano. Deliziose le scene del secondo quadro che si apre con degli eleganti arcades che ricordano molto quelli della vicina Piccadilly Street, contenuti in tre grandi box semoventi che poi lasciano spazio, nella seconda parte, al caffè Momus. Non si capisce però il senso dei cambi a vista dopo il primo e terzo quadro, che costringevano il pubblico a starsene per vari minuti ad osservare i tecnici del teatro in un imbarazzato silenzio. Molto eleganti anche le luci di Jordan Sherin, caratterizzate dalla prevalenza del bianco, ma senza mai risultare fredde, anzi esaltando l’atmosfera ovattata e suggestiva dell’inverno parigino. La regia, curata per questa ripresa da Danielle Urbas, con i movimenti scenici di Sarah Fahie, si segnalava per il grande lavoro con i cantanti-attori, così raro al giorno d’oggi. Ogni movimento, ogni gesto, ogni espressione apparivano attentamente pensati e calcolati. Particolarmente notevole era, in questo senso, la scena dell’incontro fra Rodolfo e Mimì, in cui tutte le fasi del veloce innamoramento dei due protagonisti erano rese in modo naturale e plausibile. Molto efficace anche la scena al caffè Momus, anche se forse non c’era bisogno di rischiare la caduta di stile con Musetta che si toglie le mutande da sotto la gonna per sventolarle in direzione di Marcello. Comunque, alla fine successo e applausi per tutti. Per chi fosse a Londra, lo spettacolo sarà visibile in varie date fino al 17 Novembre.
La recensione si riferisce alla prima del 14-10-2022
Kevin De Sabbata (17-10-2022)
(foto by Catherine Ashmore)
ll video ufficiale di presentazione della Boheme del ROH