Angelo Loforese in teatro non l’ho mai ascoltato.
Lo conosco attraverso gli incredibili filmati che girano su facebook .
Quando ho cominciato a lavorare alla pagina dedicata alla Micheluzzi ho contattato alcune vecchie glorie per capire se avevano ricordi con il soprano .
Alcuni di loro, forse perché si parlava di qualcun altro, dopo anni di palcoscenico, interviste, recite, comunicati stampa, si sono fatti improvvisamente muti.
Loforese, invece, tramite la segretaria di Casa Verdi , che ho disturbato senza tregua e senza pietà,mi fece sapere che quello di Mafalda era un nome che ricordava, ma che le sue memorie erano appannate.
Niente di strano, sia perché neanche io avevo trovato documenti al riguardo e quindi poteva trattarsi di qualche concerto, di una frequentazione occasionale o di uno spettacolo non proprio rilevantissimo, sia perché il Maestro ha superato il secolo di vita e qualche dimenticanza più che comprensibile è doverosa.
Incoraggiato dalla disponibilità dimostrata, a quel punto osai chiedere un autografo, quasi a sancire la riuscita di questo inaspettato incontro a distanza che tanto mi era piaciuto.
Un modo per creare un dialogo emozionale, celebrare che l’emozione che l’artista ha distribuito nel mondo ha trovato un terreno dove crescere e contemporaneamente, da parte di chi osa la richiesta, non il bisogno di un feticcio, ma il piacere di un ricordo che va al di là della singola occasione, dello spettacolo, dell’ascolto: il documento di una reciproca attenzione, fra persone che possono non essersi mai parlate, ma le cui sensibilità si sono ascoltate a vicenda.
Mi emoziona e mi imbarazza molto di più domandare l’autografo ad un cantante fuori dal teatro, perché in quel caso quello che mi spinge alla richiesta non è l’entusiasmo per la prova data, ma per la persona e per l’artista a tutto tondo.
Chiederlo significa mettersi in gioco, rischiare la delusione, pensare di aver potuto sbagliare il giudizio e quindi ogni volta ho molte remore a farlo, sia perché mi da fastidio l’idea di disturbare il prossimo, sia perché detesto ricevere dei no in questo ambito.
Non perché mi viene negata una fotografia, ma perché in qualche modo si viene a rompere un legame empatico costruito su ascolti, condivisione di emozioni, immedesimazioni.
E’ una relazione fragile, che quando si spezza difficilmente si riesce a ricostruire.
E’ logico che il più delle volte sia una relazione a senso unico, ma è una consapevolezza che non vuoi avere perché è un modo di distruggere una favola.
Penso che solo alcuni cantanti capiscano quello che dico, perché ho spesso incontrato primedonne in fuga dagli ammiratori ed interpreti gelidi con il pubblico, intenti a celebrare il loro ruolo di divi, quasi che quel titolo fosse solo merito loro e non del pubblico che li adottava.
Qualche volta, però, incontri qualcuno che ti stupisce.
Mi ricordo quando andai a fare i complimenti in camerino a Samuel Ramey dopo un concerto, nel 1992, a Venezia.
Il Maestro, che in quel momento era all’apice di una carriera internazionale senza rivali, si rammaricò di non avere più fotografie e mi chiese di lasciargli l’indirizzo.
Scrissi i miei dati, convinto che qualche momento dopo sarebbero finiti nel cestino.
Potete immaginare la meraviglia quando qualche settimana dopo il postino mi recapitò una busta con all'interno una foto con dedica personalizzata.
In quel modo avevo avuto tangibile testimonianza di quanto uno dei bassi più grandi della seconda metà del Novecento tenesse al suo pubblico.
Pochissimi sono stati così attenti in tanti anni di platea.
Ricordo in particolare, Wilma Vernocchi, Carmen Lavani e Giovanna Casolla e Armando Ariostini.
Armando Ariostini, baritono che ho ascoltato tante volte a Trieste, mi aveva sempre stupito per la capacità di entrare nel personaggio e renderlo vero, riuscendo a superare con estrema facilità gli ostacoli delle partiture, senza mai ostentare la sua bravura.
Non c’era mai in scena un cantante, ma un artista, che riusciva a farti credere che quello che vedevi fosse autentico. Non reale, ovviamente, ma emozionalmente vero.
Addirittura anche se al suo fianco c’erano interpreti che non riuscivano in questo obiettivo e ti disorientavano, quando Ariostini appariva in scena rientravi nella narrazione .
Riannodavi i tuoi pensieri alla vicenda e ti rituffavi alla ricerca di emozioni, sue e tue, in uno scambio di sensazioni che ti stupiva, frutto non della innegabile preparazione tecnica dell’interprete, ma della grandezza del suo mondo interiore, che va ben al di là delle tavole del palcoscenico. Quando lo contattati per avere una foto, ovviamente senza spiegargli che in realtà quell’immagine sarebbe andata a completare un articolo che lo riguardava , fu gentilissimo, dimostrando fuori scena la stessa eleganza che aveva in palcoscenico.
La signora Vernocchi mi aveva colpito tanto in palcoscenico.
Lo spettacolo che ricordavo con più entusiasmo era ‘ Falstaff’ di Salieri, andato in scena nel 1977 a Trieste.
Al di là della prova vocale, indiscutibile perché tecnica e bellezza vocale non sono mai mancate alla Signora, quello che colpiva era la signorilità in scena, la grande bellezza, il sorriso comunicativo. La perfetta rispondenza fra immagine e suono, l’eleganza, che nella Vernocchi non era apparenza ma sostanza.
Quando era in scena, gli altri parevano appannarsi, sparire. Nonostante parlassimo di cantanti di ottimo livello, come la bravissima Eleonora Jankovic, un esperto del calibro d Angelo Romero, la Macnez, Boscolo, Degli Innocenti, Begali.
Fatto sta che passano gli anni, trovo un indirizzo e scrivo alla Signora. Rinnovo i complimenti che avevo fatto in camerino, per il piacere di testimoniare la gratitudine del pubblico.
La quale mi risponde. Non subito, perché era in estremo Oriente per dei master, ma con cortesia assoluta mi chiede l’indirizzo e mi manda delle foto.
Mi arriva un plico con una missiva, nella quale mi spiega di avermi mandato anche alcune foto doppie, perché sa che sono particolarmente apprezzate dai melomani e così ha pensato che se avessi voluto avrei potuto condividerle con altri appassionati.
Quanta attenzione verso chi l’aveva applaudita, quanta cortesia, senza neanche pretendere un grazie. Mi affidava i ricordi dei suoi trionfi, perché li distribuissi a chi li sapeva gustare. Quanta generosità e quanta verità un quel sorriso aperto in scena.
Quando incontrai, recentemente, la Signora Carmen Lavani, mi accolse con una busta con numerose fotografie che, mi spiegò , aveva cercato fra le immagini degli spettacoli che aveva capito dai miei scritti che avevo visto.
Non solo, per non disturbare l’immagine, il ricordo del momento, le foto erano firmate sul retro: non voleva che nulla distraesse dal ricordo di quell’istante, che aveva capito perfettamente essere indelebile nei miei ricordi.
Ma in un mondo di primedonne che amano centellinare la loro disponibilità, che meraviglia incrociare, in una artista di innegabile spessore, un esempio di modestia, di sensibilità e di condivisione, resa ancor più straordinaria del fatto che dietro ogni foto la Signora aveva citato tutti i colleghi che con lei si esibivano.
Spesso i cantanti sono egocentrici e troppe volte egoisti.
Gli artisti veri, invece, non hanno paura del confronto, perché sanno che il loro talento senza gli altri rischia di diventare sterile esibizione di se stessi, di seccarsi, come certi fiori coloratissimi, che attirano gli insetti e proprio per questo vivono poche ore.
L’arte è come un ulivo, solido, tenace, importante non tanto per i frutti che produce, ma per quello che rappresenta, per i racconti di stagioni aride ed altre feconde, per il profumo simbolico di Pace.
L’ulivo cresce in terreni difficili, va protetto dalle intemperie, perché è una pianta sensibile.
Ma come l’artista, se trova l’equilibrio, la stabilità, attraversa il tempo, regalando brividi anche quando non è ingemmato di olive, anche quando le foglie vengono strappate dalla tempesta.
La voce della Lavani è così.
Le prime volte che l’ho ascoltata mi aveva spaventato: troppo preziosa, precisa, ordinata.
Un piacere ascoltarla, anche se quello che mi metteva a disagio, nonostante fossi un bambino, era la distanza fra quello che ascoltavo ed il linguaggio non verbale.
Mi pareva che ci fosse altro, che fosse prigioniera della sua bravura tecnica.
Negli anni questa sensazione è andata sparendo.
Non perché sia diventata meno brava o poco precisa.
Rimaneva una straordinaria cantante, ma con il passare del tempo cresceva l’interprete, potente, coraggiosa, pronta a mettersi in discussione, a scolpire personaggi indimenticabili, che affiancavano ad esecuzioni musicalmente ineccepibili, una intensità espressiva deflagrante, che ti faceva condividere simbolicamente con lei il palcoscenico.
Addirittura quando ha superato il traguardo dei settantanni ha registrato delle arie che sulla scena non ha mai portato, esaltando i segni del tempo che macchiano la voce, dimostrando che quelli che per i cantanti possono essere difetti, per gli artisti sono preziosi doni.
Una grande donna di teatro che ha saputo crescere e superare ogni barriera, anche quella fisica dello spazio scenico, per raggiungere una dimensione preziosa di condivisione emozionale.
Quella che ogni artista cerca: l’opera d’arte totale.
Se non fosse una iperbole, verrebbe da coniare la definizione di cubismo musicale, nel senso che nelle arie recenti trovi le emozioni di chi canta e di chi ascolta, la sua storia artistica e musicale, ma anche il tuo vissuto, evocato da quei suoni, dal modo in cui le frasi sono rese, dall’intensità delle pause. Esci dalla dimensione del proprio e del personale, ma contemporaneamente ti emozioni proprio perché è il tuo mondo quello che senti evocato.
Il compositore ha raccontato una storia, ma il soprano, con la sua interpretazione , fuori dalle dimensioni di tempo e spazio, risveglia con il suo, il tuo vissuto, in una comunione rara e spesso inimmaginabile.
La signora Casolla è stata di una cortesia che mai avrei immaginato.
Si procurò il mio numero di telefono per ringraziarmi di quello che avevo scritto su di lei.
Su centinaia di testi scritti, non credo di poter contare dieci interpreti che mi abbiano ringraziato.
In diversi si sono fatti sentire per lamentarsi, darmi dell’incompetente, sentirsi offesi per una critica, feriti da una osservazione. Che, credo abbiate colto, difficilmente poteva essere gratuita o troppo tagliente, perché non faccio parte di coloro che gioiscono nell’infierire sul prossimo.
Quando va bene è silenzio, che è già una cosa buona.
Questa volta, invece succede qualcosa di inaspettato.
Quando suona il mio telefonino e vedo un numero sconosciuto, rispondo aspettandomi un sondaggio o chissà quale offerta commerciale.
E’ la signora Casolla che si presenta, mi dice che ha letto un mio articolo, che lo ha apprezzato e che le fa piacere che la ricordi con tanto entusiasmo.
Naturalmente mi sono guardato bene dal fare una bella figura: ho balbettato qualcosa di incomprensibile, biascicato qualche frase piena di luoghi comuni, ma poi, ripresomi dalla sorpresa, sono riuscito a ringraziare a mia volta e la Signora, con grande sensibilità, invece che liquidarmi con due frasi mi ha raccontato qualche aneddoto sul periodo triestino, un paio di dati e mi ha promesso delle foto.
Dicendo subito che avrei dovuto aspettare perché aveva degli impegni.
A fine telefonata ero ubriaco d’entusiasmo.
Passarono alcune settimane e mi arrivò un messaggio: la signora si scusava di non avermi mandato ancora nulla ma mi spiegava di aver avuto degli intoppi.
Sempre più strabiliato, pensavo che a tanto carisma in scena corrispondevano una attenzione ed una cortesia decisamente rare e continuavo a rileggere il messaggio, quasi a non crederci, anche perché nel frattempo avevo avuto notizia di concorsi, master , serate commemorative cui la signora partecipava.
Passa ancora qualche settimana e mi arriva una lettera, ricchissima di fotografie. Ma non qualunque. Quelle degli spettacoli che avevo descritto. La signora le aveva scelte una per una, regalandomi la gioia di vedere rinnovata la passione di quegli spettacoli.
Una sensazione bellissima, rara, che auguro a tutti : la Signora Casolla era riuscitaad abbattere il tempo, a riportarmi in quei teatri, quando l’applaudivo commosso, rapito da una voce possente, ricca di sfumature, di colori che profumavano di magia e di verità. a dimostrazione che certe sensazioni sono assolute, metafisiche.
Tornando al racconto iniziale, Angelo Loforese ha dunque accettato di mandarmi una sua foto.
Aumentando da un lato il mio imbarazzo, dall’altro l’emozione , visto che sulla fotografia hanno lavorato in tanti: il tenore l’ha autografata; la figlia ha scritto la dedica e mi ha fatto sapere tramite il personale che la differenza di grafia era dovuta a quello; infine la spedizione è stata effettuata dalla segretaria di Casa Verdi.
Insomma ho disturbato mezzo mondo.
Ma non tanto per ricevere il dono prezioso di quel ricordo, ma per far sapere al Maestro quanto sia presente nei nostri ricordi, quanto continui ad emozionarci e come il legame della passione superi spazio e tempo.
Documenti
Un’aria importante per parlare di generosità è senz’altro questa. Va in scena ‘Don Carlo’ a Firenze. Siamo nel 2017. La titolare si ammala e si cerca una sostituta per la parte di Eboli. L’occasione è di quelle che farebbero tremare i polsi a chiunque, anche perché si tratta di un allestimento di grande richiamo, diretto da Metha e con la stampa pronta a sparare sulla prima imprecisione.
mancano poche ore all’apertura del sipario e non ci sono mezzosoprano che accettino di calcare quel palcoscenico, senza neanche una prova.
Chiamano Giovanna Casolla, che per inciso aveva settantadue anni, e la signora accetta di salvare la serata.
Questa è la registrazione che testimonia il suo trionfo.
Il tenore Angelo Lo Forese
La celebre aria ‘Di quella pira’ interpretata da Angelo Loforese a 92 anni
Carmen Lavani, artista versatile, propone la sua Adele da ‘Il Pipistrello’
Armando Ariostini ne "L'Occasione fa in ladro" al Teatro alla Scala
Wilma Vernocchi canta il duetto della ‘Madama Butterfly’ : ‘ Viene la sera’. Accanto a lei il tenore Carlo Bini. L’orchestra è diretta da Maurizio Arena, la registrazione, dal vivo, ebbe luogo nel 1973, al Teatro de la Monnaie a Bruxelles.