Cristina Deutekom l’ho ascoltata due volte, sempre a Verdi di Trieste.
La seconda volta era in ‘Norma’. Una prova che fece storcere il naso a diversi critici. A me lo spettacolo piacque.
Forse anche grazie ad un cast di grandi professionisti.
Adalgisa era una affascinante Bianca Maria Casoni, vocalmente interessante e scenicamente autorevole.
Sapeva di poter contare su un fisico appariscente e soprattutto su un sorriso accattivante, ma seppe non abusare di questi aspetti, con cui avrebbe potuto mettere in difficoltà la non altrettanto fortunata protagonista.
Pollione era un aitante Giorgio Casellato Lamberti, tenore di grande vigore, scenico e soprattutto vocale.
Un cantante dalla voce bella e potente, attento e misurato interprete di parti nelle quali tanti suoi colleghi strafacevano per rubare un applauso.
Musicista ed interprete si guadagnava con onestà ed arte i trionfi che accompagnarono ogni spettacolo in cui lo ascoltai.
Il suo repertorio era vastissimo e nel giro di pochissime stagioni lo ascoltai in ‘Dama di Picche’ accanto a Magda Olivero’, ‘Capuleti e Montecchi’ con Ricciarelli e Luchetti, ‘La Fanciulla del West’, ‘Aida’, a dimostrazione di una tecnica infallibile, di una voce potente, di una capacità di spaziare con sicurezza in un repertorio che oggi sembrerebbe impossibile.
Fa sicuramente parte di quegli interpreti che meriterebbero di essere maggiormente ricordati, da una critica dalla memoria breve e priva di riconoscenza.
Chiudeva il gruppo degli interpreti principali un autorevole Luigi Roni, un basso in grado di entusiasmare il teatro sia per le qualità da attore che per la potenza e sicurezza vocale.
Una voce dalle tante sfumature, capace di trovare sia i giusti accenti stentorei per l’Oroveso capo sacertode, che i toni dolenti e straziati del padre che non riesce a salvare la propria figlia.
Voci magnifiche che dirette con sapienza da Carlo Franci diedero una loro lettura del capolavoro di Bellini.
Unico elemento di disappunto una regia che non chiariva bene la vicenda, rendendo quasi alleate le due donne al centro della storia, invece che acerrime rivali.
Probabilmente non dipese da Beppe de Tomasi ma dalle capacità espressive, assolutamente monolitiche, della Deutekom, ma questa ipotesi non mi sento di sottoscriverla, per le ragioni che fra poco spiegherò.
Per quel che mi riguarda, la mia è una difesa a spada tratta, irrazionale ed assoluta, perché fra il soprano e me era scoppiato l’amore l’anno prima e come ogni cavaliere che si rispetti non avrei mai fatto nessun tipo di osservazione alla mia giunonica principessa.
Vediamo come si erano svolti i fatti.
I miei genitori mi portarono a vedere ‘I Puritani’, il giorno 11 febbraio 1972.
Nella mia memoria, oltretutto, fino a poco tempo fa consideravo quello spettacolo il primo dei tanti a Trieste.
In realtà avevo già potuto assistere a magnifiche rappresentazioni nel 1971: uno strabiliante ‘Simon Boccanegra’ con Cappuccilli, la Meriggioli, peraltro amica d’infanzia di mio padre, Cecchele e Vinco; una stentorea ‘Turandot’ con un trio di assi come Hana Janku, Maria Chiara e Gastone Limarilli; un magnetico ‘Mosè’ con Malcolm Smith, Aldo Bottion, Linda Vajna, Gianfranco Casarini e Silvano Carrolli.
Tutti spettacoli che mi piacquero moltissimo.
Ma la mia storia musicale è a. C.D. e p. C.D., ovvero prima di Cristina Deutekom e dopo Cristina Deutekom.
L’evento spartiacque non fu tanto lo spettacolo che mi entusiasmò, ma l’idea, a fine spettacolo, di andare in camerino a chiedere gli autografi.
Procediamo con ordine.
Alla recita arrivai preparatissimo.
Mi ero informato, come può fare un bambino e sapevo che le voci promettevano faville : accanto alla Deutekom , di cui si parlava tantissimo in quegli anni, si esibivano Umberto Grilli, un tenore dalla tecnica sicura e dalla voce bellissima, che seppe trovare sfumature struggenti per il suo personaggio; un giovane Renato Bruson all’apice dell’esuberanza canora; Paolo Washington, basso che ho sempre apprezzato, che ogni volta sapeva stupirmi con una voce che il tempo arricchiva di sfumature.
La direzione era di un Maestro americano, Cristophere Keene, le scene di Jurgen Henzel ed i costumi, bellissimi, di Anna Anni.
Ma soprattutto c’era quel soprano prodigioso, con una tecnica personalissima ed una voce che volava sul pentagramma, fermandosi su ogni nota, senza saltarne nessuna, velocissima, priva di sforzo, almeno apparente, a raggiungere sovracuti taglientissimi, acuti possenti, con un legato impeccabile e filati suadenti.
La sua Elvira, per me è l’unica Elvira possibile.
Un ricordo incancellabile, ma anche una disdetta, perché nessun’altra, ascoltata dopo di lei in quel ruolo, mi ha soddisfatto e temo che nessuna potrà farlo perché ormai quella performance ha assunto un valore metafisico.
Insomma un diluvio di applausi ed alla fine la famiglia Macovez parte alla conquista della via dei camerini.
Sotto il braccio una copia del manifesto da far autografare ed in mano, per la primadonna, un garbato ed elegante mazzo di rose gialle, che avevamo fatto riposare in guardaroba.
Così armato e sostenuto da mamma e papà mi diressi verso il retropalco.
Man mano che mi avvicinavo alla meta prefissata aumentavano i fan, fatti posteggiare all’entrata del palcoscenico perché non riuscivano a far rientrare i cantanti nei camerini, tanti erano gli applausi.
Ad un certo punto la divina apparve ed io, con passo deciso mi avvicinai a lei e dall’alto dei miei otto anni le porsi i fiori.
Dopodiché una mandria di appassionati scortesi mi scostò per avvicinarsi alla signora, che si diresse finalmente in camerino.
Non si cambiò, perché l’entusiasmo del pubblico era strabordante e dopo aver chiuso la porta per pochi momenti, immagino per rifocillarsi con un bicchiere d’acqua, la spalancò ed apparve sorridente.
Stava per essere invasa da un mare di signore impellicciate, commendatori entusiasti, qualche appassionato storico e diversi cacciatori di emozioni a buon mercato che volevano la firma del soprano di cui parlava la stampa, ma fermò tutti con il gesto della mano e cercò con uno sguardo in quella distesa di visoni e smoking qualcosa o qualcuno.
Finalmente mi addocchiò e disse: ‘Prima lui’.
Su di me sguardi invidiosi e probabilmente infastiditi.
Per quel che mi riguarda ero incandescente dall’imbarazzo ma eccitatissimo.
Con passo sicuro anche se le ginocchia ticchettavano, avvicinai il soprano, che da vicino, devo dire, non faceva la stessa figura che in palcoscenico: era distrutta, sudata come se avesse ricevuto una secchiata, decisamente sovrappeso, con quella pinguedine che contraddistingue certe signore dell’area tedesca.
Tolta la parrucca, i capelli erano schiacciati, il trucco distrutto.
Per un altro sarebbe stata una foca spiaggiata. Per me era una fata.
Mi regalò un sorriso dolcissimo, parlò con me, mi ringraziò dei fiori, mi chiese cosa mi era piaciuto dello spettacolo, firmò il manifesto ed una gigantesca foto con dedica.
A quel punto ero sostanzialmente un bambino ubriaco, facevo fatica a stare in piedi, ma la sensazione era inebriante.
Quella sera la mia autostima lievitò come poche volte nella vita ed incassai firme, attenzioni e foto con abbondanza.
Mi sentivo un protagonista. Ma la verità era proprio quella.
La sensibilità e la disponibilità di quella cortese signora avevano aperto definitivamente la porta delle emozioni e mi avevano introdotto ad un nuovo modo di andare a teatro.
Non per ascoltare della musica ma per conoscermi, per vivere le mie emozioni attraverso le vicende narrate sul palcoscenico.
Non fa nulla che la carriera della Deutekom sia stata rapidamente devastata dalle scelte del repertorio: passò da soprano di agilità a lirico drammatico nel giro di poche stagioni, ferendo a colpi di ascia una voce preziosa che meritava altre cure ed altre attenzioni.
A me aveva regalato gioielli preziosi: l’entusiasmo, il senso della riconoscenza, la conoscenza e la coscienza della passione per il teatro dell’opera e per questo le sarò sempre grato ed il bambino che abita in me la ricorda con immutato affetto.
di Gianluca Macovez
Un gradito omaggio
In preda al furore deutekomiano qualche anno fa contattai la figlia della signora, sostanzialmente per dichiarare la mia infinita passione nei confronti della sua mamma, ma soprattutto per raccontare che se la ma vita è stata sempre così vicina all’opera, se mi sono dedicato allo studio della scenografia, facendo tante scoperte di cui a quasi nessuno importa nulla, ma che per me sono invece significative, una buona fetta del merito va alla cortesia ed alla sensibilità dimostrate da sua madre verso di me.
Mando il racconto che avete visto, anche se in una versione meno logorroica e ci scriviamo ogni tanto.
Da un paio di anni affianco alle mie ricerche sull’immagine di sé qualche piccolo ritratto.
Un giorno provo a disegnare la signora Deutekom.
Vado d fantasia.
Le foto che avevo non erano così belle da fungere da modello, il mio stile non è descrittivo, non punto mai alla fisionomia ma cerco la narrazione , il racconto del sentimento e questo alle volte richiede proprio l’abbandono dell’immagine effettiva.
Volevo un racconto di gioia, il turbine dei colori di quegli abbellimenti, acuti, trilli, filati che mi avevano ipnotizzato. Non cercavo un momento drammatico d’effetto, ma piuttosto il racconto di quella cantante che mi aveva regalato gioia.
Realizzo un pastello e, incredibile faccia di bronzo, lo mando alla figlia via messanger.
La signora ringrazia, ma soprattutto mi manda una foto, che non possedevo, dove la sua mamma aveva esattamente quella faccia, anche se il taglio dell’immagine è un’altra.
Ancora una volta la signora Deutekom ha saputo regalarmi una inaspettata sensazione.
Una Regina che va oltre la notte dell’esistenza.
Un altro mio omaggio - "A Cristina Deutekom" (2022)
Alcune proposte di ascolto
Dalla ‘Norma’ con Del Monaco e diretta da De Fabritiis cantata nel 1972 all’Opera di Roma, ecco ‘ in mia man’, brano interessante perché ascoltato oggi ci fa intuire una lettura più moderna di quella che viene convenzionalmente attribuita alla Deutekom, che trova nella sua voce colori giovanili e quasi acerbi, che non inficiano il trionfo belcantistico
Nel 1969 una trasmissione televisiva celebra l’interpretazione raffinata di ‘Qui la voce sua soave’ da ‘I Puritani’ di Cristina Deutekom
La Deutekom affronta il Regio di Parma interpretato ‘Norma’ . la direzione è di Votto e questa registrazione ci fa ascoltare “Sediziose voci... Casta Diva... A! bello a me ritorna...” (Scena, aria e cabaletta)
Il nome della Deutekom viene associato alla parte della Regina della Notte.
Questa è prima aria. Non ci sono dubbi sul virtuosismo dell’esecuzione, ma è notevole anche la capacità di non rimanere imprigionata dalla tecnica. Ne esce una figura interessante, non algida, non assente alla narrazione drammatica.
Un documento interessante, la seconda aria della Regina della Notte, interpretata nel 1984. I giornali italiani parlavano della signora Deutekom come di un meteora. Questa la risposta:
Biancamaria Casoni e Giorgio Casellato Lamberdi
Bianca Maria Casoni - Adalgisa, alma e costanza
Bianca Maria Casoni è stato un mezzosoprano di grande valore.
Una voce estesa, un repertorio vastissimo, la grande capacità di interpretare in modo credibile i personaggi.
La partecipazione a spettacoli entrati nella storia e la capacità, ritagliando sempre un successo, anche quando lo spettacolo non aveva risposto alle attese, come nel caso del ‘Guglielmo Tell’ fiorentino di Muti.
I miei ricordi personali sono legati ad una intensa Adalgisa che cantò al fianco di Cristina Deutekom a Trieste.
Per quell’opera il teatro mise in campo una serie di fuoriclasse: accanto alle due primedonne cantavano uno stentoreo Giorgio Casellato Lamberti ed un già tenebroso Luigi Roni, oltre a due comprimari di lusso come Raimondo Botteghelli, che al Verdi era una presenza costante ed affidabile e Marisa Zotti, soprano di talento, esibitasi nei teatri di mezzo mondo e tristemente e colpevolmente dimenticata dagli addetti ai lavori di oggi.
Lo spettacolo mi piacque molto, anche perché all’epoca avevo eletto la Deutekom migliore cantante del mondo, titolo che i bambini attribuiscono con una certa facilità, l’allestimento era tradizionale e d’effetto e gli interpreti , diretti con sapienza dal Maestro Franci, seppero emozionare.
Confesso che il mio smisurato amore per il soprano olandese un po’ vacillò davanti alla sua interpretazione scenica, un po’ perché forse la regia avrebbe dovuto lavorare sul personaggio in altro modo, un po’ perché la Casoni aveva un talento teatrale da oscurare tutti gli altri.
L’eleganza del gesto, lo sguardo intenso, il sorriso luminosissimo, uniti ad un fisico adatto alla parte, facevano ben capire perché Pollione vacillasse nei sentimenti.
Dal punto di vista prettamente musicale la solidità della tecnica, la bellezza del suono, ma anche la intelligenza nel pesare suoni e volumi nei duetti resero la sua interpretazione indimenticabile.
Per bellezza, ma anche per professionalità.
Giorgio Casellato Lamberti, tenore
Giorgio Casellato Lamberti è nato ad Adria nel 1938.
Formatosi musicalmente a Bolzano, iniziò la carriera a metà degli anni Sessanta.
Particolarmente significativa la sua presenza a Roma, sia all’Opera che a Caracalla, dove già nel 1965 cantò la parte di Radames, ruolo che nella sola capitale interpretò in sette stagioni e che lo rese famoso in tutto il mondo: da Chicago al Cairo, dalla Scala a Baltimora, da Vienna a Zurigo, da Berlino a Monaco.
Anche a Verona cantò moltissime volte ed il suo nome è legato anche ad una imprevista sostituzione di Franco Corelli, che si concluse, dopo l’insoddisfazione iniziale del pubblico, in un vero trionfo.
Il rapporto con la Scala fu lunghissimo: esordì nel 1970 con ‘I Vespri Siciliani’, diretto da Gianandrea Gavazzeni e durò fino a ‘La Fanciulla del West’, cantata nel 1995
Nel 1996 ha concluso la sua carriera con ‘Samson et Dalila’ di Saint-Saëns all'Opera di Zurigo.
Sicuramente un cantante di grande valore, grande comunicativa, bella presenza, capacità di interprete non comuni.
Nonostante questo, non raggiunse quel pieno successo che meritava, destino di molti, forse perché all’epoca il mondo dei tenori era dominato dal trio Del Monaco, Di Stefano, Corelli, tre giganti, ognuno peraltro con caratteristiche specifiche sia vocali che caratteriali, che monopolizzavano l’attenzione dei giornali.
Per quel che mi riguarda ascoltai diverse volte Casellato Lamberti, sempre a Trieste.
L’esordio fu, nel 1972, come Pollione in ‘Norma’, accanto a Deutekom e Casoni.
Seppe reggere il confronto con due primedonne assolute e non si fece impressionare né da quel fenomeno vocale del soprano, né dalla tecnica inattaccabile e dalla sicurezza in palcoscenico della magnetica Signora Casoni.
Cantò con ricchezza di mezzi e riuscì ad essere credibile in scena, dote che in quell’occasione vacillò alla protagonista.
Resse , l’anno dopo, un altro confronto impossibile: ‘La Dama di Picche’ con la Contessa cantata da Magda Olivero, impressionante per mezzi vocali e capacità sceniche.
In questo caso giocò anche l’aspetto fisico a renderlo credibile, in uno spettacolo bellissimo, dominato dal grande soprano, ma nel quale la bella voce di Casellato Lamberti seppe trovare i giusti spazi.
Una edizione de i ‘Capuleti e Montecchi’ venne messa in scena nel 1975.
Il cast raccolse un successo unanime: Katia Ricciarelli, la cui voce era di bellezza assoluta, Veriano Lucchetti, tenore di bravura indiscutibile, Antonio Salvatori, ai primi passi di una carriera che lo portò in tutto il mondo, Antonio Rinaudo, sicuro e credibile in un ruolo importante e Giorgio Casellato Lamberti, che riuscì a raccogliere larghissimi consensi anche nel titolo belliniano.
Fu energico Radames nel 1977 accanto alla Santunione.
Nel 1983 in ‘Fanciulla del West’, accanto a Marilyn Zschau seppe incantare il teatro in con una aria finale di raro lirismo, appassionata ed equilibrata, come raramente capita di sentire.
Merito anche di un giovane Daniel Oren decisamente in stato di grazia.
Un grande dell’opera, che sicuramente meriterebbe di essere ricordato più spesso.