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Un'applauditissima "Ariadne auf Naxos" al Verdi di Trieste - Recensione di Gianluca Macovez

2024-03-03 02:31

Gianluca Macovez

Musicologia generale, Curiosità, Recensioni, opera, recensione,

Un'applauditissima "Ariadne auf Naxos" al Verdi di Trieste - Recensione di Gianluca Macovez

Successo della Arianna a Nasso di Strauss presso il Teatro Verdi di Trieste - recensione di Gianluca Macovez

Recensione di ‘Ariadne auf Naxos’, in scena a Trieste dal 16 al 25 febbraio 2024

 

Il teatro Verdi propone, nella sua stagione, a vent’anni dall’ultimo allestimento, ‘Ariadne auf Naxos’ di Strauss, titolo complesso da mettere in scena, sia per le difficoltà vocali, sia per lo stuolo di interpreti richiesti, sia per la complessità della partitura.

Lo spettacolo è riuscito, merita di essere visto ed ha offerto, nelle recite cui abbiamo assistito, momenti di grande spessore musicale ed interpretativo. 

Sicuramente il merito principale va alla bacchetta sapiente di Calesso, da quest’anno direttore stabile del teatro Verdi, profondo conoscitore della musica di area tedesca, che guida l’Orchestra con mano sicura, gesto elegante, tempi appropriati, offrendo una lettura delicata ed affascinante della complessa composizione, che scorre con raffinatezza, evitando forzature ed inutili appesantimenti emettendo in evidenza il valore profondo del lavoro di Strauss, amaro e disincantato.

Calesso ha potuto contare su interpreti per la massima parte di notevole valore.

Nel ruolo di Primadonna/ Arianna si alternavano altrenavano Simone Schneider e Margarita Vilsone.

Il ruolo è di assoluta difficoltà, impegnativo vocalmente, ma intenso anche scenicamente e Simone Schneider, soprano dalla carriera internazionale prestigiosa, ma raramente presente sulle scene italiane, ha saputo conquistare il teatro con una prova di grande spessore vocale e scenico.

Con grande naturalezza è stata capace di trovare di volta in volta il giusto registro interpretativo, il miglior modo per rendere il carattere sia della primadonna che della figlia di Minosse.

Ha mostrato, senza nessuna ostentazione, una gamma amplissima di colori, nei quali si sente il calore del vissuto, che arricchisce la voce senza ferirla; una estensione ampia esaltata da un volume possente e mai strabordante, filati raffinatissimi, acuti stentorei e di magnifico nitore, rendono la sua prova una di quelle occasioni da ricordare.

Margarita Vilsone, che le subentra in due recite, è al suo debutto in Italia.

La sua Arianna era una principessa giovane, bellissima, che senza avere l’intensità di certe sfumature che solo l’esistenza consente di maturare, riesce ad essere ugualmente credibile, affascinante ed in grado di superare con disinvoltura le tante difficoltà del ruolo.

Per entrambi i soprano vale la speranza di poterli riascoltare presto e per il teatro Verdi, in un tepo di agenzie onnipresenti ed omologazioni alle volte imbarazzanti, onore al merito di aver saputo trovare delle proposte di tanto interesse.

Va bene anche con Zerbinetta, portata in scena dalla russa Liudmila Lokaichuk,anche lei all’esordio italiano e dall’italiana Sara Fanin.

Liudmila Lokaichuk non ha problemi a superare indenne gli scogli di cui la partitura è irta, 

riuscendo anche a far emergere una componente umana del personaggio, troppo spesso risolto con virtuosismi spettacolari e poco altro.

Zerbinetta non è, nell’interpretazione della Lokaichuk, una soubrettina superficiale che spara note stratosferiche, ma una giovane donna, che riesce a dare senso alle parole, anche quelle apparentemente meno ricche di valore, che tinge d’esperienza e di verità un canto che rimane funambolico, che vive il contrasto generazionale ed il conflitto con un mondo che, l’opera fu composta nel 1910, procede ciecamente a passi rapidi verso il baratro della Grande Guerra.

Un po’ diverso il discorso per la Fanin, che al momento, ma siamo davanti ad una interprete molto giovane che sta ancora perfezionandosi, conta su una voce ben educata ma piuttosto piccola, che fa fatica a sentirsi nei settori più lontani del teatro.

Il personaggio, comunque, è riuscito, perché il soprano veneto ha un controllo notevolissimo del suo strumento e riesce ad utilizzarlo al meglio. La sua Zerbinetta non rientra, al momento, nel novero delle interpreti di riferimento, ma certamente è piacevole sia scenicamente che vocalmente, corretta musicalmente ed apprezzatissima dal pubblico. 

Lo stesso non si può dire di Heiko Borner (Il tenore/ Bacco) cantante dal curriculum soprattutto wagneriano, ma che ha in repertorio anche ‘Otello’ di Verdi.

In queste recite, evidentemente, era fuori forma vocalmente, perché la voce spesso non arrivava in sala, gli acuti erano difficoltosi e mancavano, anche a causa di costumi che parevano infierire, sia l’aspetto romantico che quello eroico.

Nel corso delle recite le cose non sono migliorate e la prestazione con la seconda compagnia, che era sulla carta meno impegnativa per i confronti sonori, sono andati anche peggio, con una apparizione molto suggestiva per il gioco di ombre, ma quasi inascoltabile per la resa sonora.

Marcello Rosiello è stato un imponente Maestro di Musica, perfettamente in parte scenicamente, capace di far sorridere senza mancare neanche una nota e divenendo snodo fondamentale della vicenda, tanto che il regista lo colloca in scena anche nel secondo atto, assieme al Compositore, interpretato da Sophie Haagen, anche lei all’esordio in Italia.

La Haagen è mezzosoprano dall’interessante materiale vocale, capace di regalare passaggi di grande suggestione ed intensità che hanno entusiasmato pubblico e critica.

A nostro parere, ma siamo in evidente minoranza, ferma restando l’ampia positività delle prove, in alcuni momenti certi suoni risultano aspri ed alle volte il colore è più chiaro di quello che ci si aspetta. Va detto, però, che la cantante ha affrontato sei repliche in dieci giorni e certo, per una parte così onerosa, non si trattava di impegno da poco. 

I ruoli che normalmente vengono definiti secondari, per uno spettacolo come questo sono fondamentali e va riconosciuto al teatro il merito di aver saputo trovare artisti all’altezza del ruolo, brillanti vocalmente e sicuri scenicamente .

Tutti loro hanno cantato in tutte le sei recite e la prestazione vocale è sempre stata all’altezza delle aspettative.

A cominciare dal trio delle voci femminili: Olga Dyadiv (Naiade), Chiara Notarnicola (Echo), Eleonora Vacchi (Driade), magnificamente coordinate fra di loro.

La Dyadiv , la cui voce che sta evolvendo verso una maggior corposità, ha mostrato un centro interessante ed acuti potenti. 

La sua Naiade era ironica, mai sopra le righe, ma molto divertente.

Chiara Notarnicola è stata elegante, posata ed estremamente appropriata vocalmente, capace di momenti di marcata poesia.

La Vacchi, certamente non aiutata da un costume quanto mai curioso, ha saputo mantenere una misura ed un garbo notevoli, che hanno messo in evidenza una voce tecnicamente ben impostata, ricca di colori, ampia per estensione e volume.

Simpatici scenicamente ed appropriati vocalmente i ‘quattro boys’: Christian Colla (Brighella), Grugen Baveyan (Arlecchino), Mathias Frey (Scaramuccio) e Vladimir Sazdovski (Truffaldino), che uniscono ad una buona prestazione nel canto delle notevoli capacità sceniche. 

Lussuose le caratterizzazioni in scena.

Il lacchè, del giovane Francesco Samuele Venuti, era riuscito dal punto di vista scenico e di grande impatto vocale.

Andrea Galli era uno spassoso ed esagerato Maestro di ballo, sempre al centro della scena. Una caratterizzazione volutamente forzata, che non ha pregiudicato la resa musicale, grazie ad una voce chiara che non ha difficoltà a raggiungere le note acute.

Dario Giorgelè è una sicurezza per il teatro dell’opera. Padrone della scena e sicuro nella prestazione vocale, riesce a tratteggiare un godibile parruccaio, che , pur nella brevità del ruolo , riesce a diventare il suo personaggio rilevante: accoglie il pubblico in platea; sale sul palcoscenico ed acconcia tutti i protagonisti. Vestito con una gonna al ginocchio e degli stivali da cavallerizzo, con i capelli lunghi oltre le spalle e truccato in maniera vistosa e kitsch, diviene la metafora di come l’umanità, in questo caso a pochi passi dallo scoppio della prima guerra mondiale, nei momenti drammatici cerchi l’effimero, invece che guardare alla realtà.

Gli fa da contraltare l’ufficiale pusillanime e capriccioso di Gianluca Sorrentino, che realizza una macchietta credibile e graffiante..

Buono il contributo dell’attore Peter Harl ,come maggiordomo.

Veniamo quindi alla parte visiva. 

Piacevolissime le scene di Gary Mc Cann, che disegna anche i costumi.

Riuscite le luci di Howard Hudson che bene sostengono la regia di Paul Curran, ripresa con attenzione cura da Oscar Cecchi, che affronta lo spettacolo con misura , sa essere ironico senza essere grossolano, confeziona alcuni momenti di grande suggestione.

Francamente, però, ci sono delle situazioni non sono sempre di facile interpretazione.

Non è chiaro perché la scena neoclassica sparisca a metà dell’atto, senza che sia accaduto che motivi il cambio .

Passaggio importante, ma non facilmente comprensibile.

Se il Maestro di musica ed parruccaio, ovvero l’effimera apparenza, sono in qualche modo al centro dell’azione del prologo, il fulcro della successiva rappresentazione sembrerebbe essere Bacco.

Finchè è fuori scena, la suggestione è notevole, almeno dal punto di vista visivo. Ma quando la divinità del vino prende forma, vestito con soprabito decorato a frutta e verdura, smile a certi sacchetti di minestrone surgelato ed una ghirlanda floreale in testa, francamente la suggestione evapora con immediatezza.

Forse se l’interprete, oltretutto debole vocalmente, potesse contare su un fisico avvenente, forse l’effetto sarebbe diverso, ma di fatto il culmine dell’azione teatrale si ha quando Bacco, colorato e vistoso accanto ad una Arianna elegantissima in blu e diamanti, tolta giacca e copricapo, un po’ per gli abiti scuri, un po’ per la parrucca, sembra più che una divinità un epigono di Antonio Albanese .

Così la conclusione dell’opera è affidata, più che a Bacco ed Arianna, ad una specie Regina Elisabetta e Cetto Laqualunque che escono mano nella mano.

Se l’ effetto è voluto, dobbiamo inchinarci al genio. 

Altrimenti è uno scivolo doloroso che chiude uno spettacolo per il resto di grande impatto.

Alla fina entusiasmo, acclamazioni, applausi del pubblico presente, purtroppo non numeroso come l’occasione avrebbe meritato.

Trieste, Teatro Verdi, 18 e 24 febbraio 2024



 

ARIADNE AUF NAXOS

musica di Richard Strauss

libretto di Hugo von Hofmannsthal
 

Maestro Concertatore e Direttore ENRICO CALESSO

Regia PAUL CURRAN

Ripresa da OSCAR CECCHI

Scene e costumi GARY MC CANN

Light designer HOWARD HUDSON

Assistente alla regia ROBERTO BONORA

Assistente alle scene GLORIA BOLCHINI

Assistente ai costumi GABRIELLA INGRAM

Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Comunale di Bologna in coproduzione con la Fondazione Teatro La Fenice di Venezia e la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

Personaggi e interpreti

La primadonna / Arianna SIMONE SCHNEIDER / MARGARITA VILSONE 

Il tenore / Bacco HEIKO BÖRNER

Zerbinetta LIUDMILA LOKAICHUK / SARA FANIN

Il maestro di musica MARCELLO ROSIELLO

Compositore SOPHIE HAAGEN

Brighella CHRISTIAN COLLIA

Najade OLGA DYADIV

Echo CHIARA NOTARNICOLA

Driade ELEONORA VACCHI

Arlecchino GURGEN BAVEYAN

Il maestro di ballo ANDREA GALLI

Il maggiordomo PETER HARL

Scaramuccio MATHIAS FREY

Truffaldino VLADIMIR SAZDOVSKI

Un lacchè FRANCESCO SAMUELE VENUTI

Un parruccaio DARIO GIORGELÈ

Un ufficiale GIANLUCA SORRENTINO

ORCHESTRA E TECNICI DELLA FONDAZIONE TEATRO LIRICO GIUSEPPE VERDI DI TRIESTE

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