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"Caro Caselli, non ricevo diurnamente tue lettere e ciò è male. Mi abbandoni in questo mare magnum? Sono stufo di Paris. Anelo il bosco olezzante con relativi profumi, anelo il libero ondeggiare del ventre mio in largo calzone, con assenza di gilet; anelo al vento che libero e olezzante mi giunge dal mare, ne assaporo con le nari dilatate il salso iodico spirare, a larghi polmoni! Odio i selciati! Odio i palazzi! Odio i capitelli! Odio gli stili! Amo lo bello stile del pioppo e dell’abete, la volta dei viali ombreggianti e novello druida farvi mio tempio, mia casa, mio studio. Amo lo stendersi verde del fresco sotterfugio di bosco annoso o giovine. Amo il merlo, il capinero, il picchio! Odio il cavallo, il gatto, il passero dei tetti, il cane di lusso! Odio il vapore, il cappello a cilindro, il frak. Qui mi canteranno Bohème alla fine del mese: sarai dei nostri? Lo spero.
Tuo aff.mo Giacomo Puccini"
(Parigi, martedì 10 maggio 1898)
E’ risaputa la propensione del maestro per la natura selvaggia, la libertà che da l’immergersi nel verde, tanto da essere espressa alla massima potenza nelle sue opere. Le sue musiche infatti attingono moltissimo dalla natura, dal contorno naturale e dagli animali, i suoni degli uccelli, la risacca del lago di Massaciuccoli e perfino la brezza marina che sopra vi si posa specie in estate. Un singolare sfogo contenuto in questa lettera spedita al suo amico fraterno Alfredo Caselli, importante mecenate di Lucca e appassionato seguace di Puccini, rivela la sua totale avversione per la città e il mondo cittadino.
Un uccellino in città non va bene, deve essere libero di volare e fischiare quanto vuole ma in natura, brado. Lui stesso vorrebbe andare sbracato con i suoi calzoni larghi e comodi da cacciatore, magari accompagnato da qualche cagnolino o anche solo, a cacciare folaghe o semplicemente godersi un po’ di natura, ma senza la vista di elementi architettonici, pietre e colonne, stili e formalismi che andavano contro proprio alla sua mentalità.
Questa lettera contiene un bellissimo e ironico sfogo, che strizza l’occhio anche a quello che avviene nel secondo quadro di Bohème. Infatti la critica di Colline agli eccessi di Musetta, il nervosismo di Marcello, il formalismo bigotto ostentato di Alcindoro, si evidenziano in questo modo di vedere di Puccini, ovvero nel suo considerare formalismi e confusione di città qualcosa di non poi tanto divertente, semplicemente una confusione organizzata da cui scappare il prima possibile. Appena si può bisogna rifugiarsi nell’amenità, nella natura, meglio soli che male accompagnati! Questo è necessario per creare è ritrovarsi. Torre del Lago sarà sempre il luogo più amato, ideale. Ma quando apriranno delle torbiere sarà costretto a scappare, per cercare più sani ostelli.
Ma Torre del Lago, selvaggio e ameno, sarà il luogo del cuore, e il luogo dove ancora si respira e si odono i passi del maestro in giro nel contemplare la natura e pensare a come descrivere i suoi versi in frasi di note e di amore.
Alessandro Ceccarini, adm