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MADAMA BUTTERFLY
tragedia giapponese in tre atti di Giacomo Puccini
su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
il libretto è basato sulla tragedia giapponese in un atto Madame Butterfly di David Belasco e sulla novella Madame Butterfly di John Luther Long
Direttore: Kazuki Yamada
Movimenti scenici: Thomas Henderson
Personaggi e interpreti
Cio-Cio-San Maki Mori
B. F. Pinkerton Pene Pati
Suzuki Hiroka Yamashita
Sharpless Christopher Purves
Goro Christopher Lemmings
Lo zio Bonzo/Yamadori Samuel Pantcheff
Il Commissario Imperiale Jonathan Gunthorpe
Kate Pinkerton Carolyn Holt
Yakuside Matthew Pandya
Una Cugina Abigail Baylis
Madre Hannah Morley
Una Zia Abigail Kelly
Un Ufficiale Oliver Barker
Costumi Laura Jane Stanfield
In quest’anno di doverose celebrazioni per il centenario della morte di Giacomo Puccini, anche la Symphony Hall di Birmingham si unisce all’omaggio al compositore lucchese, con una produzione in forma semi-scenica di ‘Madama Butterfly’ che spicca soprattutto per la spettacolare performance di uno dei grandi astri nascenti della lirica di oggi, il tenore samoano Pene Pati. Kazuki Yamada, alla guida della City of Birmingham Symphony Orchestra (CBSO), propone una lettura convincente della partitura pucciniana, che mostra la perfetta sintonia fra orchestra, direttore e cantanti, con un buon coordinamento fra le varie componenti e un interessante uso dei colori. Il direttore mantiene in genere un passo serrato e una buona energia e tensione drammatica, che si notano soprattutto nel primo atto e nel finale, anche se vi sono alcuni passi come il duetto ‘Bimba dagli occhi pieni di malìa’ e varie parti del secondo atto, in cui la scelta di tempi eccessivamente larghi rischia di addormentare il tutto. L’orchestra suona sempre con grande perizia, con un suono sontuoso da grande compagine sinfonica, forse anche troppo, visto che in vari momenti tende a coprire i cantanti; questo è l’unico vero difetto di una direzione per il resto molto pregevole. Non impeccabile, purtroppo, il CBSO Chorus, che nel suo momento topico, il ‘Coro a bocca chiusa’ suona poco compatto e a volte anche con qualche problema d’intonazione.
Pene Pati, nel ruolo di Pinkerton, non delude le pur alte aspettative della vigilia. Il timbro vocale è oro puro, rotondo, squillante, omogeneo lungo tutta la gamma, con reminiscenze pavarottiane. L’ emissione è alta ed estremamente fluida, gli acuti molto facili e squillanti, la voce corre per la sala, il fraseggio è elegantissimo, con un perfetto legato all’italiana, di quelli che ormai non si sentono quasi più, e con affascinanti mezze voci che si apprezzano soprattutto nella prima parte del duetto del primo atto, eseguito seguendo un approccio lirico ed intimista. L’interpretazione è efficace e molto curata, rendendo alla perfezione il carattere superficiale e seduttore dell’ufficiale americano. L’aria del terzo atto ‘Addio fiorito asil’ è eseguita magistralmente, con un volume vocale notevole, acuti sfavillanti, e grande intensità drammatica. Nonostante ciò, Pati rimane un tenore lirico, e questo un po' si sente nei passaggi che insistono maggiormente sulla zona media della voce. Speriamo quindi che non insista troppo con questo repertorio, almeno nel prossimo futuro, soprattutto considerando tutti i ruoli da lirico puro di cui oggi può senz’altro aspirare ad essere il miglior interprete sulla piazza.
Queste lusinghiere considerazioni non possono essere purtroppo estese alla sua co-protagonista Maki Mori, nel ruolo di Butterfly. Il soprano giapponese non canta male e riesce a rendere bene il carattere puro e innocente della protagonista. Tuttavia, la voce è veramente troppo leggera per questa parte, risultando in vari punti difficilmente udibile e venendo spesso coperta dall’orchestra. Gli acuti sono inficiati da un a volte fastidioso stretto vibrato. Così, momenti generalmente topici, come l’aria ‘Un bel dì vedremo’ o il duetto dei fiori, nel secondo atto, sembrano mancare del dovuto pathos e fascino. Tuttavia, l’aspetto veramente da stigmatizzare è che, per buona parte del secondo e terzo atto, Mori sembra leggere da uno spartito appoggiato su un tavolino giapponese la parte che chiaramente non ha memorizzato, causando anche vari cali della tensione drammatica e limitazioni nei movimenti. Si tratta di una pratica che sta diventando veramente troppo frequente anche fra cantanti molto osannati e che risulta veramente irrispettosa sia del pubblico che dei colleghi. Se non si ha tempo di preparare adeguatamente ruoli complessi è sempre meglio essere realisti e rimandare il debutto di qualche anno, invece di rischiare di compromettere l’integrità e resa artistica di un intero spettacolo.
Molto convincente, invece, la Suzuki di Hiroka Yamashita. Il mezzo-soprano giapponese sfoggia una voce dal colore caldo e pastoso, con tecnica solida e dizione chiara e facilmente intellegibile. L’interpretazione è intensa e sempre credibile. Molto bene anche Christopher Purves, nel ruolo di Sharpless. Il baritono britannico possiede un’emissione fluida e ben proiettata, un timbro brunito ed omogeneo, un’ottima presenza scenica ed una recitazione naturale ed efficace. Christopher Lemmings è un Goro solido ed autorevole. Bene anche Samuel Pantcheff, che copre sia il ruolo del bonzo che di Yamadori, e gli altri bravi giovani cantanti, molti dei quali provenienti dal locale conservatorio, a cui sono affidate le parti minori.
La forma semi-scenica e il fatto che l’orchestra occupi quasi la totalità del palcoscenico limitano di molto le possibilità lasciate al regista Thomas Henderson. Comunque i movimenti risultano funzionali ed in linea con il libretto. I costumi, belli e tradizionali, di Laura Jane Stanfield e l’uso di alcuni elementi scenici evocativi (due paraventi, un salottino laccato, i petali di ciliegio che scendono sulla scena) bastano a restituire l’atmosfera giapponese che tutti si aspettano da una produzione della Butterfly pucciniana. Alla fine, grande successo per tutti e soprattutto per il meritatamente festeggiato Pene Pati.
La recensione si riferisce alla rappresentazione del 30-06-2024
Kevin De Sabbata
(02-07-2024)
Photo credits: Hannah Father