Ci sono spettacoli che rappresentano vere tappe.
Nella storia del teatro ma anche e soprattutto in quella di ogni singolo spettatore.
Secondo me uno di questi è : Magazzino 18, andato in scena a Trieste nei giorni della memoria.
Un luogo ed un momento che in qualche maniera hanno sacralizzato la scelta di riproporre questo titolo a dieci anni dal debutto. Perché non basta riportare alla luce certi avvenimenti tragici. Bisogna continuare a discuterne, a fare in modo che nessuno possa sentirsi giustificato nella sua ignoranza, a capire dove la bramosia di potere possa arrivare, quanto non si debba mai abbassare la guardia per difendere la libertà .
Lo spettacolo è nato una decina di anni fa, dopo una visita che Simone Cristicchi fece al deposito, all’interno del Porto Vecchio, che conservava gli oggetti che gli esuli giuliano dalmati avevano inviato a Trieste prima di lasciare le loro case.
Era una specie di promessa che facevano a loro stessi: ci sarebbe stato un giorno in cui sarebbero potuti tornare a prendere quelle povere cose, a riprendere i loro ritmi consueti, a rimarginare le ferite di una quotidianità che gli era stata strappata con violenza, a ritrovare la dignità di una vita spesso umile e sempre di grande fatica, ma alla quale erano legati con orgoglio e fiducia.
Invece moltissimi materiali rimangono ancora oggi un quello stanzone.
Urlo silente di una diaspora dolorosa e violenta, anche se meno allucinante del destino degli infoibati, uomini innocenti lasciati morire, anche di stenti, nel fondo alle moltissime buche che feriscono il Carso, condannati per la colpa grave di esistere.
A rendere, se possibile, ancora più ignobili quelle azioni, il velo di omertoso silenzio delle istituzioni e degli intellettuali che per decenni preferirono girarsi dall’altra parte, ubriachi di stereotipi e parole inutili, che hanno annacquato la nostra fiducia nella volontà di verità.
Il lavoro aveva aperto la stagione 2013-14 del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, allora come oggi con la regia attenta di Antonio Calenda.
Il debutto fu accompagnato, anzi preceduto, da vivaci polemiche, contestazioni preventive, dichiarazioni stampa dai toni guerreschi e prese di posizione ingemmate di ottusità e spesso malafede.
Nessuno aveva ancora visto nulla di quello che sarebbe successo in scena, ma tutti avevano qualche sentenza da pronunciare.
Cristicchi e Calenda, artisti veri e persone sagge, seppero lasciare le chiacchiere agli altri e quando finalmente il sipario si aprì, ogni dissenso si spense, qualsiasi schieramento si sciolse ed alla fine tutto il pubblico esplose in una ovazione autentica, liberatoria, che celebrava, oltre alla bravura dell’interprete, il sacrificio di tante vittime dei giochi di potere ed il piacere della consapevolezza che in quelle due ore il pubblico aveva potuto iniziare un viaggio interiore e culturale riprendersi la propria storia, senza schieramenti partitici, ma con la consapevolezza del valore profondamente politico della Cultura.
La riproposta del titolo era da tanto attesa a Trieste, che, incurante del Festival di Sanremo in contemporanea, esaurisce in breve tempo i posti di tutte quattro e repliche: oltre sei mila spettatori, con la consapevolezza che se ci fossero state altre serate, anche quelle sarebbero state sold out.
Trieste non è un posto qualsiasi: è una città bellissima, con scorci indimenticabili, frequentazioni di grandi artisti, meta di grandi artisti, ma anche un luogo che ancora sanguina per un passato di cui profondamente si vergogna.
Impotente ha subito il dolore di ospitare, fra le sue strade, l’orrore della Risiera, unico campo di sterminio in Italia.
Sulle sue colline cominciano gli abissi delle le Foibe.
Ancora echeggiano, incancellabili, i racconti di chi ha visto le azioni di vendetta dei nazisti su militari e civili, fatti a pezzi ancora vivi.
Perfino il periodo della Città libera, che la faceva zona protetta da nazisti e jugoslavi, è stata a lungo una barriera inviolabile che la separava da quell’Italia per la quale tanto aveva patito dolori.
Importante quindi, come si diceva, che lo spettacolo inizi il suo mese di tournee nell’Italia del Nord dal capoluogo giuliano e significativo che per l’occasione l’Orchestra della Fondazione Lirica Giuseppe Verdi partecipi ad uno spettacolo del teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia: i teatri della città uniti, a ricordare a tutti come il passato deve essere conosciuto per non correre il rischio che si ripresenti, improvviso e mascherato, alle porte di qualche casa, da qualche parte nel mondo.
Parlare di dialogo fra le istituzioni, del coraggio della condivisione in una città che nell’ultimo secolo è stata austrica, ha subito le forti ingerenze naziste, ha avuto un governo americano, è finalmente ritornata italiana, ma ha temuto anche di diventare iugoslava, è un messaggio importante, un coraggioso proposito per il futuro.
Lo spettacolo è intenso: due ore, senza pausa, che incatenano il pubblico, partecipe al punto tale che senti il respiro della sala che va in sintonia con quello del protagonista, gusti il peso di silenzi parlanti, senti l’urlo, devastante e muto, che accompagna la caduta degli infoibati, ti commuovi al coro dei singhiozzi che costellano la sala, trattenuti da quel rigore delle genti di questa terra, ma al tempo stesso irrefrenabili.
Il Maestro Valter Sivilotti, autore delle musiche di scena, riesce a trasformare il suono della brava Orchestra del Verdi in autentica poesia, un delicato racconto parallelo, reso ancora più toccante grazie al prezioso contributo dei bravissimi allievi di On Stage - School of Performing Arts
Cristicchi non si risparmia, riuscendo ad accarezzare con bravura e discrezione le corde più intime di ciascuno dei presenti, sia quando recita che quando canta le canzoni scritte per ‘Magazzino 18’ , regalandoci sfumature attente, giocando con i suoni, trasformando la voce riuscendo a dare vita a coloro cui l’esistenza è stata strappata.
Riuscita la scenografia di Paolo Giovanazzi, illuminata con bravura da Nino Napoletano.
Il testo è costruito con sapienza.
Protagonista è un impiegato del Ministero, tale Persichetti, un archiviatore un po’ burino, mandato per sgomberare il magazzino.
Non ha idea di quello che lo aspetta e pian piano la scoperta lo coinvolge, lo sconvolge, lo appassiona.
A lui anche la possibilità di regalare qualche sorriso, un attimo di pausa fra un racconto drammatico ed una storia sconvolgente, fra i pezzi di vita evocati con struggente malinconia, senza indugiare sugli effetti facili, le sottolineature truculente, nonostante tutto sia drammatico, tragico, vile e soprattutto ingiusto.
Alla fine una gigantesca, commossa e meritatissima standing ovation mescola lacrime ed applausi, gratitudine e grida di acclamazione, che sanciscono un successo autentico di una artista coraggioso, che sa incantare con il coraggio della verità e l’intensità della Poesia.
MAGAZZINO 18
scritto da Simone Cristicchi con Jan Bernas
con Simone Cristicchi
regia Antonio Calenda
con l’Orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
diretta da Valter Sivilotti
con la partecipazione degli allievi di On Stage - School of Performing Arts
musiche e canzoni inedite Simone Cristicchi
musiche di scena e arrangiamenti Valter Sivilotti
scene Paolo Giovanazzi
luci Nino Napoletano
coproduzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro Stabile di Bolzano, Corvino Produzioni
Trieste, Teatro Rossetti , 12 febbraio 2023
di Gianluca Macovez