Il 2 Aprile a Pinerolo ho assistito alla Carmen di Bizet.
Un’operazione coraggiosa quella di portare un’Opera così complessa in un piccolo teatro di provincia.
Il “teatro incontro”infatti ha solo 500 poltroncine, un palco di piccole dimensioni, e non c’è una buona acustica, ma è pieno.
E già questo è un successo.
Dopo aver attraversato a piedi la cittadina fredda e vuota, ed essermi quasi persa a causa del navigatore impazzito, entrare in un Teatro, per quanto piccolo sia, da sempre una sensazione di calore e vita ed era questa l’atmosfera che si respirava.
Un’occasione per una comunità di ritrovarsi in un luogo di arte dove lasciarsi emozionare da una storia d’amore con un finale tragico.
E questo è quello che è successo nonostante dei difetti evidenti.
Ma una produzione piccola significa anche avere pochi mezzi per l’allestimento, per le scenografie, per i costumi. Significa anche tanto lavoro in più perché non c’è una netta divisione dei ruoli. Inoltre il palco ridotto costringe a limitare i movimenti costringendo magari ad una staticità che impedisce il buon sviluppo della storia.
I problemi hanno riguardato soprattutto l’orchestra e la Direzione di Gianluca Fasano che ha obbligato a dei ritmi veramente proibitivi, e il Coro Mario Braggio di Torino che era quasi sempre fuori tempo e in generale poco musicale.
In queste condizioni i cantanti hanno fornito una prova dignitosa e sarebbe davvero ingiusto sottolineare qualche sbavatura.
Alla fine quello che è andato in scena è stato uno spettacolo onesto, seppure con dei limiti, in cui si riconosce il lavoro, la passione e la grande dedizione di chi ha preso parte all’impresa, e questo va riconosciuto e anche ammirato.
I primi a salire sul palco sono i “Monelli di Siviglia”. Il coro di voci bianche “Pequena huellas” diretto da Silvia Merlini entra a passo di marcia dicendo, con l’ingenuità ma anche la saggezza dei bambini, che loro giocano a fare i soldati perché non c’è la guerra. Il pensiero va ovviamente alla situazione attuale nei paesi dell’est. L’augurio che esprimono è semplice ma forte: “Che scoppi la pace per i monelli dell’ Ukraina.”
Un augurio che si può estendere ai monelli di tutto il mondo.
L’allestimento è rispettoso della tradizione. Le scene di Silvio Papale e Marco Benedetto sono semplici ma funzionali e, insieme ai costumi realizzati dalla sartoria di Rita Curletti, ci riportano ai colori della Spagna dell’immaginario collettivo. Anche la regia di Luigi Oddoero è classica e ci presenta i personaggi così come sono descritti nel libretto che narra la storia di un ufficiale che si innamora perdutamente di una bella zingara e che non riesce ad accettare di essere lasciato.
Carmen è interpretata con mestiere dal mezzosoprano Rosy Zavaglia. Un ruolo che conosce bene avendolo portato in scena circa 60 volte.
Per la parte di Don José il cast può contare su un interprete di gran lusso: il tenore Giorgio Casciarri, che non fa mancare al personaggio irruenza, potenza vocale e acuti.
Il toreador Escamillo che si invaghisce di Carmen e la sottrae a Don José, ha la bella presenza scenica e la notevole tenuta di fiati di Simone Baldazzi.
Il basso-baritono Davide Canepa invece è Zuniga, il tenente dei Dragoni superiore in grado a Don José. Mostra un buon mezzo vocale in timbro e volume.
Funzionali sono il Dancairo di Marco Sportelli il Remendado di Giancarlo Fabbri, e il Morales di Isaias Flores Lugo.
A movimentare la scena intervengono le ballerine del corpo di ballo Torino danza che eseguono le coreografie di Annalisa Pautasso.
La parte di Micaela, promessa sposa di Don José, è ben sostenuta dal soprano Eugenia Braynova con voce ampia e musicale.
Altrettanto brave si dimostrano le due amiche di Carmen, Frasquita e Mercedes rispettivamente interpretate dal soprano Anna Delfino e il mezzosoprano Camilla Antonini.
Molto bella la scena di loro due che leggono nelle carte un futuro felice.
Anche Carmen, lontano da loro, fa altrettanto, ma le carte che scopre le predicono la morte…Ancora la morte…Sempre la morte.
La scena delle carte è una delle più emozionanti insieme al finale tra Don Josè e Carmen dove loro si affrontano faccia a faccia come in una corrida.
Le luci di Flavio Vittone e Stefano Menegatti sottolineano il momento drammatico con una forte dominanza rossa.
La tensione sale e per Carmen non c’è una via di fuga. Deve andare incontro al suo destino.
Don José la trafigge con un pugnale e poi si costituisce proclamando ancora il suo amore nell’ultima frase.
“Ah! Carmen! Ma Carmen adorée!”
Gli applausi partono a scena aperta segno che l’Opera ha coinvolto e che i protagonisti hanno emozionato il pubblico.
Nonostante le difficoltà.
Nonostante tutto.
Per comprendere meglio lo spirito di questa “Carmen” ho fatto alcune domande al Mezzosoprano Rosy Zanaglia che, insieme a Silvio Papale, ha fondato l’Associazione Aria di E20 che si occupa di promuovere l’opera e di metterla in scena.
Come nasce questo progetto?
Il progetto è nato due anni fa nel contesto della stagione lirica 2019/2020 a Pinerolo. Abbiamo fatto in tempo a fare “La Traviata” a Novembre e avremmo dovuto fare “Carmen” il 6 Marzo 2020.
Però purtroppo, proprio in quel momento, il mondo si è fermato. L’abbiamo messa da parte fino a che non è stato possibile riempire il teatro.
Un lavoro come questo assorbe tantissime energie, sia per il ruolo, ma soprattutto per la preparazione che c’è dietro e che curiamo io e Silvio.
Quindi abbiamo un surplus di lavoro. Dalla preparazione dei costumi, all’allestimento scenico.
Nei piccoli teatri un cantante non è solo un cantante, giusto?
Esattamente, perché il grande Teatro ha gli specifici ruoli e gli specifici compiti.
Qui invece una persona deve occuparsi contemporaneamente di più cose diverse per fare in modo che tutto funzioni. Delegare è un compito a cui aspiriamo ma per il momento non è possibile, per cui cerchiamo di tenere le redini di tutto con grande fatica organizzativa, ma devo dire anche con un grandissimo ritorno di umanità che consente di conoscere meglio i colleghi e il partner sulla scena.
Come avete scelto il cast?
Tendiamo ad utilizzare le risorse del territorio e poi, quando abbiamo la possibilità di ottenere nel cast elementi di primo ordine come Giorgio Casciarri siamo onorati di poterlo fare.
Abbiamo poi degli ottimi giovani. Come Escamillo, le due ragazze Frasquita e Mercedes, ad esempio. Diciamo che il cast è veramente un cast d’eccellenza, che ha saputo remare sempre nella stessa direzione. Questo è importante, perché alla fine in uno spettacolo tutto ha la sua importanza
e se non c’è un’unità d’intenti è difficile portare a termine una cosa che non ha avuto il tempo di maturare dal punto di vista organizzativo. Noi ci siamo visti a tre prove. Nonostante ciò dalle foto emergono posizioni in cui ci si chiede, chissà quale studio c’è dietro. La risposta è che c’è il mestiere e la grande capacità di gestire il palcoscenico.
Perché la scelta di mettere in scena “Carmen”?
Carmen è stato il mio debutto. Ci ho lavorato tantissimo, con i grandi maestri. Piano piano l’ho sviluppata. Ormai sono passati 7 anni dall’ultima volta che l’ho interpretata e ho trovato un grande cambiamento in me.
Prima di tutto il cambiamento vocale e poi nel modo in cui la porto in scena, non come se recitassi la parte ma come se la vivessi.
Carmen per me è l’affermazione di un essere libero e in qualche modo mi rappresenta. Non che io mi senta Carmen, ma mi rappresenta dal punto di vista emotivo e della libertà di espressione. La libertà di poter dire anche quando dovresti stare zitta. Carmen è libertà totale e paga questa libertà sulla sua pelle perché non conosce limiti.
Cosa che per fortuna io ancora conosco. ( conclude con una bella risata ).
Adoro questo ruolo.
Un personaggio magnifico che forse una donna apprezza maggiormente più va avanti nella vita. La si comprende forse di più.
Verissimo. Ma infatti Carmen non va mai giudicata. Carmen va presa per questa idea di libertà che rappresenta.
Ad esempio questa volta, e solo questa volta, ho maturato l’idea che l’aria delle carte fosse il giro di boa nella vita di Carmen. Per questo ho voluto avesse le stesse luci e stesse posizioni della scena in cui avviene la morte. L’aria delle carte è per Carmen la rivelazione totale. Lei sa assolutamente di andare incontro ogni volta ad un rischio e gli va incontro a braccia aperte. Ma l’aria delle carte significa anche l’affidarsi completamente al destino. Le carte infatti le hanno rivelato che “Tanto dovrai morire. Sia tu che lui. Non avete alternative. Quindi, qualunque cosa tu farai che sarai tu a dargli il coltello o che sarai tu a pugnalarti, non farà differenza perché tanto quello è il tuo destino.” Ho trovato questa nuova chiave di lettura che mi ha permesso di rileggere Carmen.
Il destino è scritto, dunque ma lei sceglie di andargli incontro faccia a faccia. Senza paura.
Esatto. Lei la sfida la morte. Fino all’ultimo. Ma tanto non ha alternative. La sfida perché sa che se non sarà quello il momento, sarà dieci minuti dopo, sarà il giorno dopo, ma quello è il suo destino scritto nelle carte. Il fato è già deciso. Carmen è fatalista all’ennesima potenza. Lei decide cosa fare, perché lei sola può decidere cosa fare della propria vita però alla fine è il destino a decidere della sua.
E quindi è un ruolo molto interessante, molto psicologico, molto da vivere sul palco. Molto energetico anche. Devo dire che alla fine sono sfiancatissima.
Rispetto a dieci anni fa che saltavo come un grillo ora la sento un po’ di più. Però è un ruolo stupendo.
Cosa significa ritrovare un Teatro pieno e caloroso?
Il pubblico che si è visto in Teatro è un pubblico che io “coccolo”, passami il termine, in maniera esponenziale. Nel senso che contatto personalmente le persone, i cui contatti mi sono arrivati dalle prime opere che abbiamo fatto, con dei messaggi personalizzati e amichevoli, e poi con i messaggi generici. Si tratta quindi di persone che mi seguono nella mia evoluzione e che apprezzano ciò che facciamo come Associazione, il modo in cui lo facciamo, la serietà con cui lo facciamo. Quindi diciamo che di fondo c’è un rispetto incedibile nei confronti del lavoro che svolgiamo e sono contenta che abbiano applaudito in maniera così considerevole che non è cosa da poco.
E’ bello ricominciare e ritrovarsi a teatro, sia per gli artisti che per il pubblico.
Il teatro pieno è la più grande soddisfazione che si possa vivere. Noi l’abbiamo già un po’ sperimentato a Natale per i concerti che abbiamo fatto per beneficenza con il mio gruppo di ragazzi però l’opera con il teatro pieno è qualcosa che dal Novembre del 2019 io non vedevo più. Finalmente si può ripartire.
I problemi dei piccoli Teatri
I Teatri piccoli non godono di nessun fondo su cui fare affidamento. Si, magari il piccolo sostegno del negoziante piuttosto che del conoscente che ha un’impresa, etc. Però di fatto non abbiamo supporti Regionali, non abbiamo supporti Statali, non abbiamo supporti di nessun tipo.
Purtroppo la frase di Tremonti è stata portata avanti e anche io la cito spesso dicendo che “di arte non si mangia” e aggiungendo poi subito dopo che invece ”…bisognerebbe proprio abbuffarsi di arte”. Se non ci abbuffiamo di arte qua si mette davvero male.
La musica per me costruisce un “altrove” io ci credo seriamente.
Ci dà l’opportunità di essere migliori, ci da forza.
Poi sai che cosa mi piace, l’altra sera in teatro c’erano diversi ragazzi della mia scuola dove insegno che sono tornati in teatro perché li ho appassionati all’opera durante le mie lezioni. Questa cosa per me è una soddisfazione enorme, immensa. Ho ragazzi che non conoscevano l’ Opera e che riscoprono questo mondo così distante da loro ma così universale.
Ed essere riuscita a fare questo è fondamentale.
di Loredana Atzei