Dopo ‘Otello’ un nuovo titolo di Verdi ispirato a Shakespeare va in scena a Trieste: ‘Macbeth’, nello storico allestimento firmato per le scene, ricostruite da Benito Leonori, da Josef Svoboda, per i costumi da Nanà Cecchi e la regia da Henning Brockhaus.
Uno spettacolo già andato in scena al Verdi dieci anni, ma che era da tempo atteso, perché originariamente previsto nella stagione cancellata a causa della pandemia.
Le aspettative non sono state deluse: abbiamo assistito ad una grande pagina del teatro, sempre preziosa e più attuale, anche grazie all’enorme lavoro di prove seguito in persona da Svoboda, che riesce a far indossare a quasi tutti gli interpreti la parte come fosse un guanto.
Entriamo da subito in un mondo onirico, fra qualche sogno e tanti incubi, che prende forma e cambia continuamente a vista, grazie ad una soluzione scenica flessibile ed suggestiva, che si adatta al racconto, colorata da delle proiezioni mai scontate, con effetti eleganti e mai stucchevoli, specchi che portano in scena il teatro.
All’aprire del sipario siamo trasportati in un altrove che sappiamo essere in noi, una narrazione interiore affascinante, crudele e sconvolgente.
La lady è il vero motore dell’opera.
Si abbandonano tutte le letture finora ascoltate e viste e ci troviamo davanti ad una donna che impazzisce per il piacere del potere.
Fuori di senno ben prima del sonnambulismo, in una lettura inedita e coraggiosissima della pagina verdiana, che è perfettamente aderente alla partitura.
Un lavoro sulla parola attento, cinico persino, che ha portato a rilevare sfumature trascurate, accenti dimenticati.
Un simile lavoro chiede un team afiatato e Brockhau poteva contare su alleati preziosi.
Nanà Cecchi è grande artiste e losi è visto, ancora una volta, nei costumi, un po’ abito, un po’ scultura, a cavallo fra Shakespeare e Kurosawa, che collocano l’azione fuori dal tempo, fuori dallo spazio.
Valentina Escobar lavora alle coreografie coinvolgendo sei ballerine, due acrobate aeree, ma anche tutto il coro, che, soprattutto nella componente femminile, riesce ed evocare immagini infernali mai scontate e di grande coinvolgimento.
Certamente l’impegno richiesto a tutti è stato enorme e non solo per le tante prove, o per la vicinanza delle repliche, che ha portato la prima compagnia ad esibirsi di fatto tre volte in cinque giorni.
Paolo Longo ha diretto il coro, che con il supporto de I Piccoli Cantori della Città di Trieste diretti da Cristina Semerano ha vissuto un ruolo da coprotagonista: oltre a cantare con la consueta bravura, ha ballato, mimato, interpretato offrendo una magnifica prova attoriale.
Il Maestro Fabrizio Maria Carminati ha guidato con sicurezza un’ orchestra che conosce, riuscendo a calibrare bene i volumi, a supportare le voci ed ha offerto una lettura misurata che ha permesso di mettere in risalto parole ed interpretazione. In un tempo di bacchette autoreferenziali non è dato da poco.
Gli interpreti sono stati tutti, pur con i necessari distinguo, all’altezza della situazione.
Riuscite le apparizioni di Isabella Bisacchi. Maria Vittoria Capaldo, Sofia Cela, Crisanthi Narain, Damiano Locatelli e Giuliano Pellizzon, questi ultimi due impegnati anche in altri ruoli ben risolti. Sicura in scena e vocalmente la Dama di Cinzia Chiarini. Funzionale il Medico interpretato da Francesco Musinu. Gianluca Sorrentino era Malcolm, che si muoveva bene in scena ed assolveva il ruolo con correttezza.
Banco era Dario Russo. Il basso ha una voce generosa, con fiati possenti, solidi acuti sicuri.
Ha costruito un personaggio credibile e funzionale alla trama, che lo vuole subalterno narrativamente ma molto presente drammaturgicamente.
Antonio Poli è stato un vero lusso come Macduff.
Il tenore è fra gli interpreti più interessanti della sua generazione, dotato di una voce dal timbro accattivante, una brillante baldanza vocale che gli consente di tratteggiare un personaggio intriso di verità: un giovane uomo arrabbiato con la vita, che cerca sostegno per vendicare i torti subiti.
Non offre la ricorrente lettura malinconica, il canto suggestivo e carico di rimpianti di tanti suoi colleghi, ma piuttosto regala i suoi sicuri acuti e la tavolozza di intense sfumature ad un racconto intenso e coinvolgente che prende la platea.
Giovanni Meoni è Macbeth. Il baritono canta la parte con correttezza, mettendo in evidenza un bel timbro, una tecnica sicura , buoni fiati.
L’interpretazione è meno coinvolgente: pare quasi ieratico, sembra scavare meno le parole, quasi generico nell’interpretazione, persino nella grande pagina ‘ Pietà, rispetto, amore’.
Importante dire che questa potrebbe anche essere una scelta attoriale: interpretare un Macbeth succube, uomo arrendevole schiacciato dalla moglie avida.
Certamente grandissima protagonista della serata una Silvia Della Benetta straordinariamente in parte.
Il soprano può contare su una tecnica solida, che le ha permesso di sfoggiare, dopo trent’anni di carriera, un centro solido, acuti sicuri, appropriate agilità e di superare le difficoltà, sicuramente ampliate dalle recite ravvicinate, di cui è irta la parte.
Di grande impatto il lavoro sulla parola, sui toni, sulle sfumature, sul senso di ogni accento, che ha dato forma ad una Lady posseduta dal desiderio di potere, vittima di una crescente follia, che trasformerà il sonnambulismo in delirio.
Il controllo è assoluto: la musica guida ogni movimento, qualsiasi espressione, perfino i respiri. Davanti a noi si materializzano in uno stesso corpo :una donna meravigliata, una regina compiaciuta, una tigre che si aggira nella notte , una bimba in cerca di giochi perduti, una strega, una assassina. Tutte credibili, tutte autentiche per il tempo in cui le vediamo agire.
Portata sulla scena da un manipolo di streghe sembra sempre più desiderosa di successo, posseduta dal piacere del potere, che riesce a declinare in una strabiliante tavolozza di sfumature, che fanno prendere forma, di volta in volta, alla bambina inappagata che evidentemente abita da sempre dentro di lei; alla donna sensuale che fa intuire le forme del suo corpo allo sposo che vuole sedurre per continuare la scalata sociale; alla moglie determinata, che canta con un timbro metallico che sembra di ferro appena forgiato.
Alla fine una scena del sonnambulismo nella quale forse mancherà la componente del sogno, ma sicuramente è ben presente quella dell’incubo, ampliato dalla scelta di farle concludere la parte finale dell’aria fuori scena, penalizzando forse la resa sonora, ma consegnando all’immortalità degli incubi la regina della malvagità
Una prova dalla enorme personalità, che fa rientrare la Dalla Benetta nel novero delle Lady più interessanti ed originali di oggi.
Alla fine, il teatro, affollatissimo, ha tributo un successo trionfale a tutti gli interpreti, con particolare entusiasmo per la coppia di protagonisti.
Trieste, Teatro Giuseppe Verdi, stagione d’opera e balletto 2022
“MACBETH”
Melodramma in quattro parti su libretto di Francesco Maria Piave da Shakespeare
Musica di GIUSEPPE VERDI
Personaggi e interpreti
Macbeth Giovanni Meoni
Lady Macbeth Silvia Dalla Benetta
Macduff Antonio Poli
Banco Dario Russo
Dama di Lady Macbeth Cinzia Chiarini
Malcolm Gianluca Sorrentino
Medico Francesco Musinu
Domestico di Macbeth/Apparizione Damiano Locatelli
Sicario/Apparizione Giuliano Pellizon
Araldo Francesco Paccorini
Apparizioni Isabella Bisacchi, Maria Vittoria Capaldo, Sofia Cella, Crisanthi Narain
Con la partecipazione del Coro I Piccoli Cantori della Città di Trieste diretti dal M° Cristina Semeraro
Orchestra Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Maestro concertatore e direttore Fabrizio Maria Carminati
Maestro del coro Paolo Longo
Con la partecipazione de I Piccoli Cantori della Città di Trieste
diretti da Cristina Semeraro
Regia Henning Brockhaus
Scene Josef Svoboda, Ricostruzione dell’allestimento scenico Benito Leonori
Costumi Nanà Cecchi
Coreografie Valentina Escobar
ALLESTIMENTO IN COPRODUZIONE TRA FONDAZIONE PERGOLESI SPONTINI DI JESI E FONDAZIONE TEATRO LIRICO GIUSEPPE VERDI DI TRIESTE
Trieste, Teatro Giuseppe Verdi, 29 gennaio 2023