“Napoli Milionaria” è un’Opera lirica intensa e popolare che rimane dentro lo spettatore con le sue musiche e con quell’atmosfera disincantata con cui si guarda ad una umanità perduta.
Non c’è più la “Amà, ha da passà à nuttata”, frase che concludeva la commedia del ‘45, e che invitava ancora a sperare.
Nell’ Opera scritta da De Filippo, e portata in scena per la prima volta nel ‘77 a Spoleto, la battuta che chiude l’Opera è precisa “La guerra non è ancora finita.”
Con queste poche parole Gennaro Iovine uccide definitivamente quella speranza che era lecito e doveroso avere alla fine della guerra, ma che a trentanni di distanza non ha più alcun senso.
A Pisa l’opera è andata in scena con tre grandi differenze rispetto al debutto Spoletino: la prima è un allestimento tradizionale ma più leggero, più arioso, che ha permesso ai cantanti di recitare con spontaneità e di ottenere sempre una bella composizione dell’immagine sul palco; la seconda è una grande ricerca da parte del direttore d’orchestra M° Jonathan Brandani, che ha eseguito delle versioni alternative di alcune parti dell’Opera che Rota aveva scritto per la ripresa al San Carlo di Napoli.
La terza differenza è il grande lavoro affrontato dal regista e dagli artisti sui loro personaggi. Dal primo all’ultimo. Sono abilmente caratterizzati nella voce, nel modo di vestire, nel muoversi. Il pubblico li riconosce e alla fine, quando c’è la festa, è come se fossero gli amici di una vita.
Abbiamo voluto incentrare questo primo approfondimento dedicandolo alla protagonista femminile, a Donna Amalia, moglie di Gennaro e madre dei loro tre figli: Amedeo, Maria Rosaria e Rituccia.
Una donna che si arricchisce con la borsa nera e che finirà poi per tradirlo con Don Errico, uomo dai traffici poco leciti.
Sarebbe facile giudicare una donna come Amalia e definirla spregiudicata e traditrice. Senza dubbio lo è, ma non è solo questo.
Il personaggio è più complesso e per comprenderlo meglio in tutte le sue sfumature abbiamo chiesto ai due soprano che hanno interpretato Amalia nelle recite di Pisa come si sono preparate per affrontare questa parte.
di Loredana Atzei
Valentina Iannone
Amalia per me ha significato molte cose. All'inizio l'opportunità di mettermi in gioco, la sfida per affrontare un ruolo così impegnativo, l'orgoglio di esprimere le mie radici, la mia terra, con le parole di un conterraneo. E non uno qualsiasi, uno dei più grandi uomini di teatro di tutti i tempi. Poi sono arrivati il senso di responsabilità di farmi tramite di un messaggio e una musica così preziosi, la ricerca di un personaggio con un vissuto tanto lontano dal mio. Mi ha accompagnata in questi anni travagliati che abbiamo passato, dalla prima audizione nel 2019 all'ultima recita sulle tavole pisane pochi giorni fa. È maturata tra le pieghe del mio vissuto, tra i cambiamenti di vita, prospettive, priorità. Ho dato ad Amalia un amore sconfinato che, piano piano, si è radicato nella mia anima e nella mia carne. Non è stato un percorso facile, ho lottato per farla venire fuori, contro i miei limiti, i miei modi di fare e di pensare che sembravano così distanti dall'Amalia stampata su carta.
Confesso che a tratti mi è stata anche odiosa per la sua crudezza. Ma alla fine è esplosa, si è impadronita del mio corpo e della mia voce, per quelle ore in cui ha vissuto nella cornice magica del teatro. E mi ha insegnato tanto, mi ha fatto vedere la realtà dal suo punto di vista, mi ha spinto a considerare che la sua tenacia e la sua concretezza, la sua fiducia in se stessa, potevano essere utili anche alla Valentina di tutti i giorni. Sono profondamente grata a chi mi ha permesso di vivere questa esperienza, che va molto oltre la soddisfazione di aver fatto un bel lavoro.
Sino a ora, penso sia stata l'esperienza più intensa del mio percorso artistico. E certamente una delle più significative di quello umano perché, prima che artisti, lavoratori dello spettacolo, siamo uomini e donne con il proprio bagaglio emotivo ed esperienziale, i propri sogni, i propri limiti e timori che cerchiamo constantemente di superare per farci ancelle e sacerdoti di un'arte più grande di noi, che attraversa i secoli per portare messaggi di humanitas universali.
Elena Memoli
Per una bambina cresciuta a “pane e De Filippo” come me interpretare Napoli Milionaria è stata una delle esperienze più belle della mia carriera artistica. Ricordo ancora quando ad ogni Natale mi mettevo in piedi sulla sedia per recitare la lettera per la mia “Cara matre” e tutti attendevano il momento in cui zio Pasquale faceva notare di non essere nella lista della salute dei parenti. Natale in casa Cupiello entrava nelle nostre vite come tutte le opere e i personaggi di Eduardo che accompagnavano la nostra quotidianità tra insegnamenti, riflessioni e comicità. E così porti avanti i tuoi studi sapendo che gli “esami non finiscono mai”, affronti il mondo sentendoti diverso tra i pazzi a cui devi “dire sempre di si” e cresci facendo i conti con “le voci di dentro” in una società che cambia involucro ma non contenuti. E così Napoli Milionaria va in scena al Teatro Verdi di Pisa tra la crisi economica e morale della pandemia e dell’assurda guerra in Ucrainae diventa attuale.
Lo studio vocale e interpretativo è stato intenso e minuzioso. Col Maestro Jonathan Brandani abbiamo studiato a fondo la partitura cogliendo le intenzioni del compositore e del testo nelle dinamiche e nell’agogica. Il maestro è un direttore molto carismatico e preparato, e ha creato sin da subito un clima sereno e positivo tirando fuori il meglio da tutti noi del cast. Grazie al lavoro di ricerca ed analisi del regista Fabio Sparvoli ho vestito i panni, la forza ma anche la fragilità di un personaggio molto complesso. Donna Amalia per affrontare la fame e la distruzione della guerra diventa avida e spietata perdendo tutti gli ideali di moglie, madre e donna. Gennaro è la sua coscienza, lui che rimane onesto e cerca di opporsi al declino della sua famiglia. E’ considerato da Donna Amalia un “buono a niente” che rincorre ideali ma non pensa a come sfamare la sua famiglia. Lei invece si fa carico di questo onere praticando la borsa nera e alleandosi con Enrico Settebellizze, un giovane senza scrupoli che con il suo corteggiamento le dimostrerà le debolezze del suo matrimonio e i suoi desideri di una vita libera, benestante e spensierata. Crede al suo amore lasciandosi abbagliare dai raggi di un sole che non raggiungono mai il suo basso e all’ebbrezza di quell’aria che non entra mai dalle sue finestre. Cosi quando suo marito a seguito di un bombardamento è dato per disperso, si perde nell’infedele sogno di Villanova tra carezze abbracci e baci, tra la passione perduta o mai conosciuta e finalmente si sente “femmena”.
Ma il ritorno di Gennaro coincide con il ritorno alla realtà con cui dovrà specchiarsi: il suo fallimento come madre che ha trascinato i suoi figli alla deriva, di una donna che ha creduto ad un amore che la abbandona nel momento più tragico ossia la morte di suo figlio, la dipendenza dal denaro che ha reso tutto splendente ma finto e la solitudine di una casa che ritorna buia.
Manca nel finale dell’opera di Rota la speranza dell’ “addà passà a nuttata” e nella disperazione di una madre che accarezza in maniera compulsiva il corpo di suo figlio c’è il desiderio di addormentarsi per dimenticare tutti gli errori.
Come tutti i personaggi interpretati, anche Donna Amalia lascia nella mia anima sensazioni ed emozioni indelebili.
Valentina Iannone nel ruolo di Amalia
Elena Memoli nel ruolo di Amalia - finale dell'opera
Le foto presenti nell'articolo sono di Andrea Simi