La nuova bella intervista della nostra Loredana Atzei ci porta alla scoperta di un bravissimo artista: il baritono Richard Alexander Rittelmann.
A voi una serie di domande e di risposte veramente avvincenti. Buona lettura!
Richard Alexander Rittelmann è un baritono dal bel timbro e dal fraseggio elegante e ricco di colori. Una lunga carriera alle spalle e un repertorio vasto e inusuale. Una preferenza per le opere rare, per la musica contemporanea e per la contaminazione tra i generi.
Come e quando hai scoperto di avere una voce portata per il canto?
Devo ringraziare mia madre; si chiamava Julianna Farkas, era cantante e ha notato che avevo delle doti musicali. A sei anni mi ha comprato un pianoforte. Mi ha dato le prime lezioni e ha visto che avevo una predisposizione. Il passo successivo è stato il conservatorio. Avevo 8 anni quando la mia voce è stata notata e sono entrato in un coro che eseguiva musica polifonica Veneziana. Quando a 14 anni ho mutato la voce ho accettato di far parte del coro di canto Gregoriano.
A 19 anni mi sono diplomato al Conservatorio di Ginevra. A quell’epoca alternavo l’attività nel coro alle esperienze sul palcoscenico. Poi ho sentito parlare dell’Opera Studio di Lione, ho tentato la fortuna e l’anno seguente sono stato integrato nella compagnia. Li ho conosciuto Tèzier e tutta l’attuale generazione di cantanti.
Ho fatto molto repertorio Francese, ho avuto una parte nel Doktor Faust di Busoni inciso da Erato condotto da Kent Nagano, e ho vinto diversi concorsi di canto tra i quali il premio Giuseppe Giacomantonio – Eurobottega dove sono stato molto incoraggiato dal presidente Vincenzo de Vivo. Abbiamo anche eseguito la prima in Italia del Gendarme Incompris di Francis Poulenc al Teatro Rendano di Cosenza dopo una masterclasse con Leyla Gencer. Questo mi ha dato l’opportunità di lavorare nei teatri Italiani. Ed è proprio al Carlo Felice di Genova, durante la rappresentazione della Carmen nel 2002 diretta da Plasson, che ho conosciuto Roberto Alagna. Si è interessato a me e alla mia voce. Lui è sempre stato così. Ha sempre avuto un atteggiamento molto positivo con i colleghi. Mi ha detto che aveva un progetto con il fratello David e che forse c’era una parte per me nel Cyrano De Bergerac di Alfano. E così un mese dopo sono stato contattato dalla segretaria del Direttore artistico dell’Opera di Montpellier e mi ha detto se mi potevo presentare per farmi sentire. E’ andata benissimo, ho ottenuto il ruolo di Le Bret, uno degli amici più fidati di Cyrano, ed è così che il mio sogno è andato avanti.
Hai partecipato anche al Werther andato in scena al Regio di Torino.
Si. Sempre con Roberto e i suoi fratelli che hanno curato l’allestimento e la scenografia. Sono stato Albert nel secondo cast. Uno spettacolo straordinario. Con tanta poesia. La cosa più bella è che ogni personaggio ha una vita propria. Non è incentrato tutto sul protagonista. Non ci si dimentica dei comprimari. No no…C’è una vita molto ricca tutto intorno. I ruoli sono tutti studiati bene e hanno una loro profondità. Sopratutto Albert, spesso trascurato e trattato in modo superficiale. Qui è invece un personaggio complesso, che si trova a vivere una situazione assurda e reagisce in base a ciò che gli succede intorno.
La collaborazione è continuata anche con “Le dernier jour d’un condamné” tratta dal libro di Victor Hugo.
Si, Questo è stato un altro bellissimo progetto.
David Alagna, che è il compositore dell’Opera, mi ha avvertito che stava scrivendo un ruolo che avrebbe potuto andare bene per la mia vocalità. Io mi sono mostrato subito interessato perché conosco la sua abilità nello scrivere musica e il rispetto che ha per le voci.
Alla fine Roberto mi chiama e mi dice. “Abbiamo pensato a te per le parti del Friauche et del Procuratore Generale.” E così ho preso parte a questa Opera con quello che è un bellissimo ruolo. C’è un duetto con il protagonista e un’aria che sono davvero molto belli. Non dimenticherò mai il timore che abbiamo avuto che l’Opera non piacesse. Il pubblico durante tutta la recita era stato molto silenzioso, molto concentrato, e poi, alla fine c’è stato come un boato. E’ scoppiato in un applauso fragoroso che non smetteva più. Per venti minuti il pubblico ci ha richiamato in scena. Era previsto che la premiazione venisse fatta alla Salle Gaveau ma i Direttori dell’epoca si sono tirati indietro appena due settimane prima, ritenendo il progetto troppo contemporaneo. Il che all’inizio ovviamente ci ha messo in difficoltà. Roberto però ha chiamato subito il Direttore artistico Dominique Meyer che ha detto che potevamo portarlo in scena negli Champs Elysées. Alla fine per noi quel rifiuto è stata una fortuna. E’ stato un enorme successo. Essere parte di un progetto di questo tipo ti consegna alla Storia perché sei il primo a portare in scena il personaggio di un’Opera nuova.
Infatti scorrendo il tuo percorso si nota una tendenza ad affrontare Opere rare, come ad esempio quelle di Menotti, e anche contemporanee, alcune delle quali, come “Senza sangue” di Peter Eotvos, e “Little Nemo” di David Chaillou, scritte per te nel ruolo del protagonista.
Si, sono aperto alle novità ed è bello sapere che un compositore ha la mia voce nella sua mente quando pensa e scrive un’Opera. So che conosce i miei modi di porgere la parola, le espressioni e i colori e questo mi consente di dare qualcosa di più, in termini di emozioni, al pubblico. Di fronte ad un’Opera nuova il pubblico si può perdere perché non ha dei riferimenti e deve scoprirne i codici man mano che avviene la recita in Teatro. Questa è la scommessa da vincere. E’ importante far capire che c’è un altro modo espressivo per raccontare storie e personaggi. Quando vedo il pubblico emozionarsi allora penso che sono riuscito ad esprimere ciò che volevo e che l’Opera funziona.
E quel momento è bellissimo.
Ad esempio è ciò che ho provato in “Little Nemo”. Qui ho interpretato il personaggio principale in una storia che si svolge con le dinamiche di un incubo ma con un lieto fine. La ricordo come una bellissima esperienza anche perché abbiamo interagito con un pubblico composto soprattutto da giovani. Il risultato è stato entusiasmante: Siamo riusciti a coinvolgerli.
In questi lavori è possibile personalizzare la storia in modo da renderla propria. E questo vale sia per i cantanti, che per i compositori, ma anche per il regista che può in essa riversare la sua creatività senza limiti. Ed è possibile anche attirare il pubblico con storie che lo riguardano più da vicino. Più attuali. E’ una dimensione sociale della musica che è importante portare avanti. Senza sconvolgere lo spettatore. Creando nuove storie che ci appartengono, ma facendolo sempre con una visione poetica.
L’anno appena passato si è riaperto all’attività musicale, prima all’aperto, e poi di nuovo con i Teatri al chiuso. Ma l’anno precedente è stato tremendo per tutti. Tu come hai passato il primo lockdown da un punto di vista artistico?
Il momento era davvero terribile ma ho cercato di sfruttarlo per fare qualcosa che non avevo mai fatto prima.
Ovviamente avevo già realizzato tante incisioni ad esempio le Jongleur de Notre-Dame con Roberto Alagna, “Les Troyens” con Di Donato, Spyres, Lemieux, e altro. Però ad un certo punto mi sono detto: “Ma perché non fare una cosa mia?” Desideravo realizzare un qualcosa di personale che avesse la mia impronta e che seguisse un filo conduttore. Era un progetto che accarezzavo da sempre e che, quando tutto si è fermato, ho deciso di prendere in mano e portare avanti per dimostrare che la musica esiste e vive, anche se rimaniamo tagliati fuori dal mondo perché i Teatri sono chiusi.
Da tutto questo nasce il CD Clair Obscur.
Si, ho messo in esso tutta la mia esperienza di 28 anni di carriera e ho cercato di infondere in esso i diversi aspetti dell’arte con una linea anche filosofica. E’ sviluppato come la ricerca di un dialogo tra due mondi: Quello Occidentale e quello Orientale. Il CD alterna una parte cantata con dei brani al piano eseguiti dall’artista Veronica Yen. Sono davvero contento perché è il frutto di un periodo molto duro e per me è stato un modo di esprimere ciò che avevo dentro. Ho cercato di curarlo sotto ogni aspetto, non solo quello musicale. Volevo che fosse un oggetto non solo bello da sentire ma anche bello da vedere, da tenere in mano e da scoprire, attraverso le foto, i testi, il confronto con due lingue.
A proposito di interazione tra forme d’arte diverse, cosa mi puoi dire dello spettacolo “Art and Horse “ che ti ha visto protagonista quest’anno?
E’ stata una novità anche per me. Amo tutti gli animali ma non avevo confidenza con i cavalli. Quindi quando mi hanno contattato per realizzare uno show non sapevo bene come avrei reagito. Poi ho cantato e la cavallerizza ha improvvisato una coreografia intorno a me. Allora ho capito che c’era una sintonia tra me e il cavallo. Alla fine quando si è avvicinato non ho avuto alcun timore. E’ stata la conferma che questo linguaggio nuovo poteva funzionare. Il cavallo per me è come un ponte tra l’umanità e la dimensione animale. Questo non è uno spettacolo di acrobazie ma è il cavallo che diventa a sua volta un artista. Il pubblico è testimone delle emozioni che fluiscono dal canto e suscitano le reazioni del cavallo. I suoi sguardi, la sua tranquillità nell’eseguire i movimenti. E’ davvero fantastico.
Il prossimo anno vogliamo far crescere il discorso con degli attori in scena e con una trama legata alla magia. Perché per me il mondo del cavallo è davvero magico.
Porteremo lo spettacolo nelle Arene e questo ci consentirà di raggiungere un pubblico diverso da quello che frequenta i Teatri.
Le contaminazioni sono importanti perché penso che sia l’artista che deve andare verso gli altri e non aspettare che gli altri vengano a lui.
Un altro progetto interessante è quello che presenterò a Febbraio e che unisce la musica lirica alla letteratura. Durante la conferenza stampa del romanzo “Le Mémorial des Anges oubliés” di Jacqueline Dauxois mi aggancerò alla parte del romanzo in cui fa riferimento alla Tosca cantando alcune arie.
E’ bello perché è una forma di collaborazione letteraria e musicale. Non è un vero e proprio recital ma è un qualcosa che unisce i due generi e li rafforza.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ci sono almeno due progetti a cui tengo particolarmente:
Il primo mi entusiasma tantissimo perché secondo me porterà la cultura ad un livello popolare, ma in senso buono. Ci proponiamo di superare quei pregiudizi che vogliono che la lirica sia distante dal popolo e dalla vita di tutti i giorni, e dimostrare invece che l’Opera non è ne vecchia ne impolverata ma parla a tutti. Ed è così che abbiamo deciso di realizzare una versione de “La vie Parisienne” di Offenbach rispettosa dei personaggi ma trasferita nei nostri tempi e ambientata nei luoghi di Parigi. L’idea è nata ad un amico regista proprio durante il lockdown, poi lentamente l’idea ha preso corpo ed è arrivata alla Tv Francese fino ad approdare a Netflix… Sono stato coinvolto per interpretare il bel ruolo di Gardefeu e ritrovo di nuovo Roberto Alagna in questo progetto con altri famosi cantanti e attori francesi.
Il secondo progetto è ugualmente emozionante e mi rende orgoglioso perché ho sempre desiderato lavorare in un Musical importante e finalmente si è presentata l’occasione. Sono stato preso per un ruolo nel “Montecristo” che porteremo in tour in Francia nel 2023. Il casting non è ancora completo ma potrebbero esserci delle grandi sorprese. Per ora però non posso dire di più.
A maggio canterò in un concerto all’ AltOpernhaus in Francoforte omaggio a Maria Callas.
A Giugno canterò Escamillo nella nuova versione di “ l’ histoire de Carmen “ a Parigi.
Ad Agosto canterò mio primo Guglielmo nel Così fan tutte a Londra e in tour in Inghilterra
A Settembre canterò mio primo Marullo nel Rigoletto all’ Opera di Rouen con replica a Parigi ad ottobre
La nostra chiacchierata si avvia alla fine. Vuoi fare un saluto al pubblico Italiano?
Certamente. Ho dei bellissimi ricordi dei Teatri Italiani ( il Teatro Massimo di Palermo , il Regio di Torino , Festival Verdi di Parma , il Teatro Maria del Monaco a Treviso, Il Carlo Felice di Genova, Ente Musicale di Trapani , Fondazione Spontini a Jesi… ) Il pubblico Italiano è tradizionale ma anche curioso e sa apprezzare il lavoro innovativo di artisti capaci di proporre nuove letture quando avviene nel rispetto dei compositori. Certo non è un pubblico che si può prendere in giro perché reagisce. Il dibattito è spesso molto acceso ma significa che c’è ancora la passione per quest’arte.
In Italia di bello c’è proprio questa passione forte sia da parte del pubblico che dei tecnici con i quali si lavora. E’ importante perché l’Opera è un lavoro corale in cui ognuno fa la sua parte.
Dai musicisti, al Direttore ai tecnici dietro le quinte.
E in Italia alla fine ho sempre l’impressione di essere in famiglia.
di Loredana Atzei
(Photo @ DR)