RUBRICA DELLA DOMENICA
di Gianluca Macovez
Con l’arrivo di tante nuove leve della regia nel mondo dell’opera, c’è un gran parlare di scandalo.
Mi sono spesso domandato che cosa sia veramente, anche perché leggendo i documenti di archivio, lo stesso Verdi oggi sarebbe stato giudicato deflagrante: opera come ‘La Traviata’ originariamente le avrebbe volute ambientate in una epoca a lui contemporanea; chiedeva agli scenografi Beroja di tradurre in colori, anche innaturali, le sensazioni della musica; un handicappato come Rigoletto faceva la morale ai potenti.
Contemporaneamente, bimbo, vidi uno dei primi, forse proprio il primo, nudo della storia del teatro Verdi: era ‘Il Gallo d’Oro’ e per l’occasione il regista Giancarlo Menotti convinse il soprano Gabrielle Ravazzi a rimanere, nella scena in cui seduce lo Zar Dodon, a seno nudo.
Fu un gran parlare, ma in realtà non ci fu nulla di sconveniente.
Al punto che, nonostante avessi poco più di otto anni, non ebbi problemi ad andare, a notte fonda, a chiedere l’autografo, sia alla ‘scandalosa’ cantante che al basso Paolo Washington, che per me era un vero mito dopo un trionfale ‘Puritani’ di due anni prima.
Se avessi interpretato male quello che avevo visto, non avrei mai avuto il coraggio di andare in camerino e soprattutto i miei non me lo avrebbero mai permesso.
Salomè non scandalizza quando si toglie i veli. Casomai quando rivela certe calzamaglie che raccontano di peccato e sensi di frustrazione.
Certo bisogna vedere anche chi canta e come lo fa.
La Caballè poteva fare quello che voleva con la sua voce inebriante, a patto che non calasse le vesti.
Altre invece potevano andare oltre, perché credibili anche fisicamente nella parte e l’opera non è un concerto.
Ganyo nudo che balla Roland Petit è semplicemente in parte, mentre certe tutine aderenti disegnano attributi accentuati da conchiglie da pornostar che suonano di fastidioso perbenismo ipocrita.
Pare che la tradizione sia il contrario dello scandalo.
Non credo proprio. Ho visto spettacoli che dovevano essere tranquillizzanti, ed invece uccidevano l’opera, asfissiandola con la polvere del vecchio, dell’inutile.
Costumi che schiacciano il diaframma, scenari che non permettono ai cantanti di ascoltare l’orchestra, coristi che parlano mentre i solisti cantano, fondali mal realizzati.
Registi che non fanno nulla, interpreti allo sbando, soli, che ripetono gag da avanspettacolo e che forse non sanno neanche il significato di quello che cantano.
Ricordo con disgusto certe marcie trionfali dell’ ‘Aida’, che profumavano di miseria, ignoranza e dilettantismo.
In una ‘Lucia di Lammermoor’ dal cast iperbolico, dominato da una strepitosa Luciana Serra, parte della scena era costituita da pessimi tendaggi, peraltro sicuramente dannosi per l’acustica del palcoscenico, perché i fondali non riempivano tutto lo spazio.
Allora alla fine lo scandalo nel teatro non sono le nudità, ma l’ignoranza.
Perché se esiste un’idea , un progetto ben realizzato, un ragionamento, un percorso che motivi le scelte registiche, allora lo spettacolo ha un senso.
Può anche non piacere, può non essere condivisibile, ma ha ragione di esistere, perché è espressione di Arte, di libertà, di Pensiero.
Sarà motivo di dibattito, di discussione, anche al limite di contestazione.
Se invece mancano l’idea, il motivo, la passione, quella cui assistiamo è violenza.
Verso la partitura, verso gli interpreti, ma soprattutto verso il pubblico, cui si sono sottratti tempo ed emozioni.
Lo scandalo vero, non solo in teatro, è l’approdo dell’ignoranza al potere.
di Gianluca Macovez