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L’Italiana in Algeri, dramma giocoso in due atti composto da Gioachino Rossini su libretto di Angelo Anelli, approda al Lirico di Cagliari nell’allestimento vincente del Teatro Regio di Torino e nell’edizione critica curata da Azio Corghi per la Fodazione Rossini di Pesaro in collaborazione con la Casa Ricordi di Milano.
Il pubblico in sala può ammirare sul palco le architetture in stile moresco dove predominano i colori dell’ocra e dell’azzurro.
Sono le scenografie eleganti di Claudia Boasso accarezzate dal gioco luci di Vladi Spigarolo da un’idea di Andrea Anfossi.
Luci calde, soffuse che avvolgono i personaggi e trasportano il pubblico in un posto magico, da mille e una notte.
Un luogo che non perde il suo fascino nemmeno quando la regia di Vittorio Borrelli, cercando un risultato comico che colpisce nel centro, trasforma gli appartamenti del Bey in un centro benessere, con tanto di lettini per massaggi e i cantanti avvolti da asciugamani.
Le scenografie si spostano durante l’opera, mutano di fronte agli spettatori che vengono coinvolti nel gioco di un teatro in movimento.
I bellissimi costumi di Santuzza Calì, e della sua collaboratrice Paola Tosti, completano il quadro facendo assaporare atmosfere esotiche di Salgariana memoria, sottolineando la magnificenza del Bey, la sontuosa eleganza dei Corsari e l’avvenenza delle Odalische.
Dunque la regia di Vittorio Borrelli mischia dunque un po’ le carte ma non tradisce l’opera. Ne sottolinea i doppi sensi e amplifica la verve comica. Nulla è lasciato al caso. Nemmeno il naufragio della nave inseguita dai pirati che, nella sua semplicità risulta essere molto divertente.
La cifra stilistica dello spettacolo che va in scena è la leggerezza, il divertimento, la simpatia che scaturisce dai personaggi.
Il tutto avvolto da un’aurea incantata e da un’orchestrazione ricca di sfumature diretta dal M° Massimo Zanetti che imprime una direzione briosa.
Ottiene la giusta atmosfera a partire dall’introduzione che, dopo un inizio sussurrato, scatta all’improvviso con l’entusiasmo giocoso della strumentazione e si conclude con uno spumeggiante crescendo Rossiniano.
Riuscire ad ottenere dal pubblico una risata è più difficile che farlo piangere, si sa.
Quest’opera ha bisogno non solo di una regia che sappia cogliere ogni occasione per suscitare il riso, ma anche di un cast di cantanti-attori di grande bravura e di una Direzione orchestrale che sostenga la comicità.
Quando i tre elementi, come in questo caso, si uniscono ciò a cui il pubblico ha la fortuna di assistere è uno di quei spettacoli che non si dimenticano.
A cominciare dal Mustafà di Fabrizio Beggi , Basso nobile dalla voce stentorea che svolge con bravura tutte le agilità del ruolo. Il personaggio è focalizzato in pieno. Sicuro e pieno di se, tronfio e crudele. Incurante dell’amore sincero che gli porta la moglie Elvira.
Inanella uno su l’altro i tempi comici dotato di grande verve comica, una studiata gestualità e un sorriso gigionesco.
Per continuare poi con tutti gli altri interpreti capaci di fondersi con il loro personaggio.
Troviamo dunque Antonino Siragusa che interpreta un Lindoro esaltante ed esilarante, sicuro nelle agilità, svettante in acuto e dotato di una straripante simpatia.
Isabella è invece interpretata con il giusto piglio dal mezzosoprano Teresa Iervolino. La voce è scura, piena, duttile e omogenea in tutti e registri.
Donna di carattere e tremendamente furba. Entrambe le caratteristiche appartengono alla brava interprete.
E’ la donna che desidera il Bey per sollazzarsi, stanco delle moine delle donne dell’Harem.
Pensa di poterla dominare.
Ma ovviamente si sbaglia di grosso.
Estremamente elegante tanto quanto buffo è il cicisbeo che accompagna Isabella. Taddeo è interpretato magistralmente dal baritono Bruno Taddia che esibisce una voce corposa e ricca di colori e una presenza scenica ragguardevole.
La scena in cui viene proclamato Kaimakan, ed è costretto ad accettare la nomina sotto la continua minaccia di un palo che via via aumenta le sue dimensioni, è sicuramente tra le più riuscite.
E le intimidazioni vengono dai corsari capitanati da un Haly che ha le sembianze della tigre della Malesia. E’ il baritono Alberto Petricca che un trucco eccellente trasforma nella copia perfetta di Sandokan. L’impeto e la forza del personaggio letterario, che si impone sul personaggio lirico, trova la sua ragion d’essere nell’appagamento estetico e nella bravura dell’interprete sia a livello vocale che recitativo.
La sua è una voce calda che nell’aria “Le femmine d’Italia” ha modo di mostrare la sua potenza ed espressività.
Elvira, la docile moglie di Mustafà che lo annoia e che ripudia, è interpretata dal soprano Chiara Notarnicola con voce squillante e melodiosa, e atteggiamento tenero e sottomesso.
La accompagna, e ne riceve le confidenze, la bella schiava Zulma, interpretata in modo brillante dal Mezzosoprano Alessandra Della Croce.
I siparietti tra le due interpreti non mancano di momenti comici a cominciare dalla prima scena in cui Zulma trascina un’Elvira, languente d’amore, e la obbliga a stirare.
I ragazzi del coro svolgono un ottimo lavoro diretti dal M° Mirca Rosciani.
Da sottolineare il sempre preciso accompagnamento al cembalo del M° Francesco Massimi.
Il pubblico ha mostrato un grande apprezzamento per l’opera nel suo complesso e per tutti gli interpreti che sono stati gratificati da grandi applausi.
“L’italiana In Algeri” qui rappresentata è un successo senza ombre.
E, parafrasando le parole che Stendhal rivolse a quest’opera possiamo dire che lo spettacolo andato in scena a Cagliari “…è semplicemente la perfezione del genere buffo.”
La recensione si riferisce allo spettacolo andato in scena a Cagliari il 12 maggio 2024.
di Loredana Atzei
(Photo credit: Priamo Tolu)