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Ho rinvenuto nel libretto del 23° Festival Pucciniano un interessante articolo giovanile della cara amica Carolyn Gianturco dedicato al Puccini “sinfonista”. Lo condivido con tutti voi perché di sicuro interesse e anche per devozione a colei che per anni è stata l'anima e il cuore della ricerca musicale nell'Università di Pisa. Carolyn è stata uno dei primi volti amici che ho incontrato in dipartimento e con lei ho condiviso numerose occasioni musicali dei miei esordi (mi ricordo i vari concerti del coro universitario a cui ho preso parte in qualità di solista presso la Chiesa di Sant'Anna, la Chiesa di Santa Caterina, il Teatro Verdi di Pisa e la Chiesa dei Servi a Lucca), e le chiacchierate sulla figura di Alessandro Stradella, sua passione, che hanno fruttato su Wikipedia la pubblicazione dell'elenco riveduto e corretto dei lavori dell'illustre compositore. A te, Carolyn, con amicizia e devozione, un mio grande “grazie”!
Alessandro Ceccarini, adm
Dopo il saggio finale del Conservatorio di Milano la Gazzetta Musicale di Milano del 22 luglio 1883 scriveva: « La scuola di composizione dà buoni risultati. Due giovani sopra tutti si segnalarono: il Puccini, della scuola del Ponchielli, ed il nominato Bertini... il primo, nel genere sinfonico, deve riuscire simpatico e fino; l'altro, nel genere teatrale... ». Il Filippi concorde: “Nel Puccini c'è un deciso e rarissimo temperamento musicale; specialmente sinfonista”. Ancora Verdi dopo l'andata in scena de Le Villi al Teatro dal Verme: “Pare però che predomini in lui l'elemento sinfonico... ”.
Tutti d'accordo ma, pronunciata dal caposcuola dell'opera italiana, l'etichetta di “sinfonista” non può essere considerata un complimento. Sappiamo infatti dalle lettere di Verdi che egli considerava l'arte sinfonica un'arte straniera. Scrisse: “12 o 15 anni fa, non ricordo se a Milano o altrove, mi nominavano Presidente d'una Società del Quartetto. Rifiutai, e dissi: Ma perché non istituite una Società di Quartetto vocale? Questa è vita italiana”.
Chiaramente per Verdi c'era una musica “italiana”, distinguibile dalla musica di altre nazioni, e questa non era la musica strumentale ma piuttosto quella vocale. Scrisse esplicitamente Verdi: Canto e melodia rimangono sempre per me il verbo principale.
Tuttavia non possiamo negare che dagli anni '80 in poi vennero alla luce grandissimi lavori orchestrali di compositori di tutti i paesi e il giovane Puccini non poteva, anzi non doveva ignorare gli sviluppi dei generi strumentali. Ricordiamo che all'epoca de Le Villi Brahms aveva appena composto la sua Terza Sinfonia e poco dopo completerà la sua Quarta Sinfonia, che il 1889 vedeva il poema sinfonico Don Juan di Richard Strauss e la Prima Sinfonia di Mahler; che nel 1894 Debussy compose il Prélude à l'après-midi d'un faune; che dopo i primi anni del nuovo secolo appaiono le novità di Schoenberg. Ciò significava che il mondo musicale contemporaneo di Puccini era fortemente un mondo orchestrale e, inoltre, un mondo vario e fatto di tante correnti che fluivano non insieme, ma parallelamente. E' indicativo del fascino che questo mondo esercitò sempre su Puccini il fatto che fra i pochissimi libri trovati nella sua villa a Torre del Lago c'era la partitura del Capriccio spagnolo di Rimsky-Korsakof, maestro affermato di orchestrazione e insegnante di Stravinsky.
La geniale capacità strumentale di Puccini si manifestò presto, come abbiamo visto, già all'esame finale dei suoi studi a Milano. Che questo brano, intitolato Capriccio Sinfonico, avesse un valore maggiore di quanto ci si aspetterebbe dal lavoro di uno studente appena diplomato, è facile giudicare. Infatti esso è ormai stato apprezzato dai pubblici più diversi del mondo date che, parecchi anni più tardi, Puccini adoperò il Capriccio Sinfonico come ouverture per il suo capolavoro operistico La Bohème, cambiando soltanto la tonalità. Alla prima di Bohème nessuno si accorse che il brano tanto originale aveva già dodici anni. L'inizio incisivo degli archi bassi insieme con i fagotti, l'aggiunta dei clarinetti, corni ed altri archi, e, man mano che le frasi si seguono, le entrate di tutti i fiati e ottoni ci offrono una straordinaria varietà di colori timbrici che, se vogliamo, identifica non soltanto l'apertura de La Bohème ma tutta l'opera.
Notiamo pure le sezioni dove gli strumenti non sono soli ma accompagnano le voci. Per esempio i pizzicati degli archi che fanno da sfondo alle frasi di Rodolfo in “Nei cieli bigi…”, dove c'è anche un pedale mantenuto fermo e lontano dai suoni dell'oboe e del fagotto, un insieme che crea delle sonorità orchestrali nuove. Andando avanti nella partitura sentiamo le fiamme che attaccano le pagine strappate da Rodolfo dal suo manoscritto nei tremoli dei violini e negli arpeggi non simmetrici dell'arpa. E poi c'è l'entrata rumorosa di Colline annunciata dai corni. Come dice Barbian, questa è una « narrazione timbrica», e la troviamo non soltanto in La Bohème ma in tutte le opere del Puccini. Ecco il punto cruciale. Puccini è un sinfonista? Certo! Ma è un sinfonista al servizio del dramma. La sua orchestra non suona per conto proprio; non suona neanche sempre in blocco per convincerci della sua potenza. L'orchestra di Puccini è invece una fonte di colori, di suoni, di timbri, il tutto adoperato, o insieme o con delle voci strumentali singole, per raccontarci il dramma. Alla fine di una sua opera sentiamo di essere stati toccati non dall'orchestra ma dal dramma. L'Orchestra è servita a Puccini per il suo raccontare, gli strumenti ci hanno fatto sentire e vedere meglio gli avvenimenti della trama.
Verdi non avrebbe dovuto preoccuparsi per il talento orchestrale di Puccini. Anche il giovane Lucchese teneva caro “l'amore del canto, la cui espressione è l'opera”.
di Carolyn Dooley Gianturco (Pisa. 1977)
Una foto giovanile della prof.ssa Carolyn Gianturco
Puccini - Capriccio sinfonico per orchestra - Dir. Riccardo Chailly - Radio-Symphonie-Orchester Berlin
(Foto di Puccini in copertina by ANSA)