Certo del massimo baritono pisano si è detto e scritto veramente tanto, ma questo aneddoto raccontato da Renzo Bianchi è decisamente interessante e quasi inedito.
Qui riporto (con tanto di immagine del ritaglio di giornale in mio possesso) l'articolo in cui Bianchi racconta l'incontro tra Titta Ruffo e Sem Benelli e le successive loro reazioni, che sono state diligentemente redatte in questo articolo pubblicato sul Radiocorriere nel 1953 poco tempo dopo la morte del grande baritono, avvenuta a Firenze il 5 luglio dello stesso anno.
L'incontro era stato organizzato perchè Titta stava ultimando il suo libro "La mia parabola" (di cui esiste anche un appendice, in mio possesso, che è stato pubblicato dal figlio Titta Ruffo Jr molti anni dopo la morte del padre) ed era interessato ad un parere di Sem Benelli, anche se temeva di incorrere in un giudizio negativo della sua opera letteraria.
Quindi un articolo davvero di grande interesse, in particolare perchè offre uno spaccato umano della vita del grande Titta Ruffo, amato mio concittadino illustrissimo.
Buona lettura,
Alessandro Ceccarini, adm
"
Chi ha conosciuto intimamente Titta Ruffo sa che egli possedette come pochi il dono di assimilare fisionomie e voci di persone e di cose; ed il suo libro è appunto ricchissimo di queste assimilazioni vive e palpitanti, di queste istantanee abbaglianti come bengala. Sino dalle prime pagine balza evidente il pregio fondamentale dell'opera, e cioè l'osservazione rapida e precisa, la penetrazione geniale, la descrizione non mai deformata ma sempre aderente all'impressione schietta ed esatta. Ed ecco la casa, l'officina dove Titta Ruffo lavorò da fabbro, i genitori, gli amici, i compagni di lavoro... Cose e persone. Non mai scenari e personaggi. Ecco Ruffo (Titta è il cognome) nella casa paterna in Pisa, poi a Roma dove picchia il martello su incudine dell'officina paterna, circondato da giovani violenti e crudeli che lo inducono a fuggire verso l'avventura e l'ignoto. Lavora così da fabbro in una bottega di Castel Gandolfo, soffre la fame, è raccolto da a un benefico fattore, il padre lo ritrova e lo riprende. Un suo fratello che studia musica lo attrae lentamente nel clima misterioso delle sette note. Una sera sente la Cavalleria Rusticana. Singhiozza senza sapere perché, e nasce l'artista. Si prova a cantare un pezzo dell'opera sentita, e, come per incantesimo, dalla gola, dal sangue, dai nervi, gli sgorga una voce prodigiosa. Nella via si battono le mani. La voce esce a fiumi dalla finestra aperta, e dalla finestra entra il destino....