Proseguiamo il nostro viaggio nel tempo alla scoperta del rapporto delle civiltà antiche con la Musica e il Canto.
Le osmosi tra culture diverse si sono sempre verificate nella storia, e questo vale anche per quanto concerne la musica, ovviamente. Così nel mondo più antico troviamo tracce mesopotamiche nella musica egizia, fusioni tra questa e quella successiva dei greci, per non parlare della civiltà romana, che verso quella greca ha un grosso debito (vedi il mio articolo sulla musica dell'antica Grecia e nell'antica Roma sul nostro sito).
Nelle antiche città sumeriche sacerdoti, astrologi, liturgisti, matematici e musici operavano insieme riuniti in una sola corporazione e stretta doveva essere la parentela tra suono e divinità. La stessa cosa accadeva in Egitto dove la musica era
addirittura chiamata hy, ovvero "gioia". Anche per gli egizi il suono era in relazione con la religione e la cosmologia: conoscevano la scala cromatica e fondevano in un unico disegno divino le sette note, i sette giorni e i sette pianeti noti.
Compresi tra due colossi culturali, Egizi e Greci, gli Ebrei svilupparono una musica corale di vaste proporzioni soprattutto attorno al 1000 avanti Cristo, con Davide e Salomone, della quale abbiamo notizie attraverso la Bibbia.
Questo per dire del fitto intreccio di interessi che si muovevano dal Medio Oriente verso il bacino del Mediterraneo. In quanto agli arabi, la storia della loro musica comincia fin dai tempi della cosiddetta "ignoranza", ovvero i tempi della Giahiliyya, che vanno fino a quel 622 dopo Cristo, anno dell'Egira, in cui inizia l'epoca musulmana. Il Corano non prende una posizione decisa nei confronti dell'arte dei suoni, anche se lascia intendere che, nel complesso potrebbe essere considerata come non positiva. Così la musica si sviluppa, o si reprime, secondo le diverse interpretazioni delle parole del Profeta. Certo è che sotto le dinastie degli Omayyadi e degli Abbasidi, in anni compresi tra la fine del 600 e la metà del 1200, la musica si sviluppa rigogliosa. Le qainat, ragazze dedicate al piacere, ma anche con una seria preparazione al canto e agli strumenti dell'epoca, tornano di moda, ed è allora che le corti di Bagdad e di Damasco si popolano di musicisti, e con la conquista dei paesi dell'Africa del Nord e poi della Spagna, la musica araba dilaga in mezzo mondo, trascinando con sé idiomi e introducendo strumenti che appartenevano anche alla società persiana.
E'nota la storia di Zyriab, musicista scacciato per invidia dal suo maestro Mawsili, rifugiatosi a Cordoba dove potè lavorare e diffondere il suo credo artistico, penetrato in profondità nella cultura spagnola al punto da essere ancora oggi un momento di riferimento: il canto jondo, il flamenco, il canto andaluso, che poi hanno coinvolto tutta l'area marocchina, pensate provengono da lui e quindi sono figli diretti della musica araba.
E'un periodo di straordinario interesse nella storia delle contaminazioni delle musiche "altre", ovvero dei paesi extraeuropei con quelli del Mediterraneo che troveranno, a partire dal 1492, altri punti di aggregazione.
Quando Cristoforo Colombo sbarcò nelle Antille, in Europa le famiglie nobili di Lisbona già avevano al loro servizio degli schiavi neri, per lo più provenienti dal Senegal e dalla regione della Costa d'Oro, oggi Ghana, ma è con la conquista delle Americhe che le culture indigene si arrendono a quelle dei conquistatori, un trauma anche per la musica perchè per quegli abitanti sembravano ormai usanze stabilizzate nel tempo. Società amerinde si fondono da prima con quelle spagnole, portoghesi, inglesi e francesi e poi con quelle africane, per via della tratta degli schiavi che prende piede velocemente e diffonde gli uomini in catene in ogni parte del mondo con le navi. A bordo dei vascelli nascono dei canti di ribellione sopita, gli schiavi possiedono solo le loro culture e quindi portano la loro musica nel cuore sulle onde. Nel 1516 il navigatore spagnolo Juan Diaz de Solis attraccava nell'estuario del Rio de la
Plata, iniziando la conquista di quegli immensi territori che Caboto aveva definito "terra dell'argento", da qui il nome che assumerà l'immenso stato dell'Argentina.
Argento in verità ne fu trovato assai poco: la regione era abitata da almeno 300.000 persone che li vivevono per lo più di caccia e di raccolta di materie prime, perché non avevano raggiunto il grado di civiltà dei vicini Incas. Ma gli spagnoli conquistatori, accolti come delle divinità, erano in pratica soltanto di genere maschile, che così in breve tempo si è formato un tessuto sociale meticcio, organizzata in gran parte dai Gesuiti, giunti a seguito degli europei. E furono loro, costruendo chiese e portando alla religione gli indios, a introdurre anche la musica, che in breve tempo prese caratteri ambigui: si sommarono melodie modali del Medioevo europeo, nostalgie andaluse, riconoscibili dai tempi ternari e nelle continue alternanza di tre quarti e di sei ottavi, e melodie basate su scale di cinque o addirittura di tre note, provenienti dalle musiche locali. A questi due generi si era poi aggiunto quello africano,
e non importa che gli schiavi in Argentina fossero numericamente molto limitati: il malambo, che viene indicato come un genere tipicamente argentino, deriva dall'Africa; la sua origine non è legata al suo nome così fortemente evocativo, cosa che vale pure per la zampa, da non confondersi con il samba che è esclusivo del Brasile, anche se l'etimologia è la stessa e deriva da Simba che in Bantù significa "danza".
Anche a Cuba si erano formate le stesse osmosi artistiche e così la controdanza è alla radice della danza messicana, della habanera che si è estesa poi anche alla Spagna e perfino alla Francia fino ad arrivare in tempi più recenti allo stesso tango, che, frutto di molti innesti, si è installato fino dal 1800 a Buenos Aires, diventando famoso in tutto il mondo, dapprima con la produzione popolare di Carlos Cardel, poi con quella più intellettuale di Astor Piazzolla. Fra questi due nomi vanno ricordati anche quelli di Alberto Ginastera, Julasi Aguirre, Carlos Gustavino, ed Eduardo Hubert, pianista e compositore, oltre che ricercatore appassionato delle musiche tradizionali del suo popolo. Lo stesso tipo di fusioni avveniva, negli stessi secoli, in Brasile, divenuto terra portoghese. Per quanto poco si sappia delle origini e delle prime connessioni tra indios, bianchi e neri, è certo che in Brasile esisteva da sempre la pratica del choro, nome dato a piccoli gruppi di musicisti-cantanti che si esibivano un po' ovunque, al punto che oggi il nome "choro" ha preso il significato di un genere musicale che si esprime con un tempo binario molto veloce. In questo mondo, ovviamente in anni assai più recenti, è nato il musicista più rappresentativo del Brasile ovvero Heitor Villa-Lobos (1887-1959).
Torniamo ora al nostro percorso di ricerca delle origini della musica e andiamo alla scoperta di materiale prezioso magari ignorato fino ai giorni nostri. Con i coloni e con i conquistadores, spagnoli e portoghesi venivano inviati a seguito anche dei sacerdoti perché iniziassero subito l'opera di conversione dei nativi. Quei sacerdoti erano uomini davvero tuttofare, in grado di affrontare ogni ostacolo, quindi anche di insegnare la musica a chi non conosceva nemmeno una lingua europea e ancora di più non sapeva nemmeno leggere. Furono loro i primi a scrivere musiche capaci di farsi familiari per essere intese anche dagli amerindi e poi dei popoli dell'Africa nera, e per farlo dovettero, in qualche modo, usare delle strutture, formule, schemi musicali in uso fra quelle genti, in modo da invogliarli a frequentare la chiesa, producendo delle musiche orecchiabili e quindi mentalmente compiacenti. Nascono così le prime contaminazioni musicali. Gaspar Fernandes è uno dei primi sacerdoti compositori di cui si hanno notizie e con lui poi Juan Guitierrez de Padila (ASCOLTI disponibili in fondo all'articolo, certo uno dei compositori più fecondi e felici del periodo di cui parliamo. Maestro di cappella a Cadice fu poi inviato a Puebla per assistere Gaspar Fernandes, e prese il suo posto. Fra le molte pagine scritte secondo la tradizione europea, ne ha prodotte altre nelle quali utilizza i "villancicos", ovvero canti contadini locali, e per i testi usava un linguaggio misto che comprendeva parole amerinde e africane, in una sorta di scioglilingua. Ne è uno splendido esempio un tema intitolato "A siolo Flasiquiyo", un canto negrillo a 2 e a 6 voci (il cui titolo significa "Al signor Francisquillo") che usa un testo nel quale si parla di Tomè (isola al largo della costa occidentale dell'Africa) e che lega fra loro parole davvero incomprensibili, certo non appartenenti al lessico di un sacerdote dell'epoca.
E' stato Francisco Curt Lange, tedesco trasferitosi in Uruguay nel 1930, a dare il via alle ricerche scoprendo così uno straordinario mondo creativo rimasto fino ad oggi sconosciuto.
Dunque dall'Africa partono per il mondo i filoni etnico musicali che portano ovunque influenze positive, sia pure mischiandosi con altri linguaggi, fino ad arrivare alla nascita del jazz. Anche se è da osservare che oggi il continente nero pare riscoprire le sue origini scegliendo molto la rivisitazione dei motivi tribali, mischiando al rap (e al trap negli USA) velocità antiche, giaculatorie laiche, armonizzate dagli artisti che derivano dalle contaminazioni
europee.
Il jazz d'avanguardia è svolto da molti musicisti di estrazione europea o anche americana, che attingono dall'Africa per dare colore a certe loro pagine, così come prendono in prestito motivi dal patrimonio indiano e orientale. Certo è che queste contaminazioni continueranno nel tempo e chissà a quale e a quante alchimie nuove assisteremo.
La musica è viva ed è in movimento (nonostante la pandemia!).
Alessandro Ceccarini, Adm
(da progetto ETA)
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