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Intervista al regista Salvo Piro e al direttore artistico del Luglio Musicale Trapanese Walter Roccaro - di Lo

2022-08-19 21:02

Loredana Atzei

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Intervista al regista Salvo Piro e al direttore artistico del Luglio Musicale Trapanese Walter Roccaro - di Loredana Atzei

Una doppia intervista che la nostra inviata a Trapani Loredana Atzei ha potuto effettuare in occasione della Traviata andata in scena pochi giorni fa

 

 

 

 

 

 

 

Nel cuore pulsante di Trapani, in mezzo agli straordinari ficus all’interno del Teatro all’aperto dedicato a Giuseppe di Stefano, il regista Salvo Piro concede un’intervista per parlare di questo nuovo allestimento dell’ Ente musicale del Luglio Trapanese.

E lo fa con grande passione.

 

Come nasce questa Traviata?

 

Guarda che meraviglia ( si guarda intorno sorridendo a mostrare gli alberi all’interno del teatro ). Solo in un posto potevamo lavorare ad un’idea di questo genere. Perché qui c’è la potenza della natura. Non esiste un altro Teatro al mondo che abbia questa bellezza.

 

Quindi la natura gioca un ruolo importante in questa produzione?

 

Esattamente. Per giorni abbiamo cercare di ricreare quella sensazione di foglie che brillano. A studiare il loro movimento. Gli alberi sono dentro la rappresentazione. Noi li illuminiamo tutti per ben tre volte nell’Opera proprio per avvolgere il pubblico in questo abbraccio.

E lentamente vediamo la natura emergere nella storia di Violetta.

Inizialmente partiamo con delle piante rinsecchite ai lati del palco che sono quelli che noi chiamiamo “i due deserti” e che simboleggiano Parigi così come ce lo racconta Violetta, ossia “Quel popoloso deserto che appellano Parigi...” .

Poi questa natura avanza e la vediamo irrompere in scena.

Per esempio quel divano si coprirà di edera, e anche il tavolo, e la natura inghiottirà tutto e si riapproprierà dello spazio.

Ed è questo che raccontiamo in questa Traviata.

Non tanto l’amore carnale fra i due, di cui sappiamo ogni posizione, ogni angolo, ogni sfumatura. Proviamo a raccontare l’altro aspetto, un po’ più metafisico. Che poi tanto metafisico non è. E’ altrettanto carnale poiché è segnato dalla malattia.

E anche la malattia fa parte della natura. Di questa natura che si ribella e che alla fine prende il sopravvento.

 

Chi è la tua Violetta?

 

Una mantenuta certo, ma soprattutto una donna sola e alcolizzata. La sua malattia è questa.

Nel preludio raccontiamo proprio questa sua solitudine. Le sue notti trascorse insonni con la compagnia della bottiglia. Lei cerca di scappare da questa gabbia ma non riesce perché c’è questo deserto che la blocca.

Questi deserti evolvono in un deserto di sedie, e poi nel secondo atto entra in scena il prato.

E’ infatti, nel preludio del terzo atto, che lei incontra la sua parte bambina.

Quella che lei ha lasciato in Normandia prima che cominciasse ad essere stuprata.

Attraverso una fotografia cinematografica vediamo questa bambina sul fondo e con le luci illuminiamo tutto il bosco dietro il palco ottenendo un effetto di profondità straordinario. Questa bambina prima è lontana, poi si avvicina e nel preludio al terzo atto entra in scena finché nel finale le due donne si ricongiungono.

 

Dalle note di regia nel libretto di sala si evince che avete lavorato su tre personaggi per dare vita a questa Traviata.

 

Esattamente. C’è Alphonsine la donna reale, c’è la Marguerite Gautier del romanzo di Dumas e la Violetta del capolavoro Verdiano. Tutto il primo atto, in particolare, lo facciamo come se fosse il dramma di Dumas perché, ad esempio, il coro non è in scena. Quello che noi vediamo intorno a quel divano e a quel tavolo è una scena che sembra di teatro di prosa, non sembra di lirica. In questo piano girevole mettiamo in scena il dramma di Alexandre Dumas, mentre il coro abita perlopiù la zona dietro il trasparente, e in fondo c’è appunto la Normandia e Alphonsine. E quindi questi tre personaggi Margherita, Violetta e Rosa…Perché poi ricordiamo che Alphonsine si chiamava Rose, anche questo fatto non è un caso. Le tre donne hanno tre nomi di fiori.

 

Quindi ancora la natura come filo conduttore.

 

In realtà tutta l’Opera di Verdi è un continuo riferirsi alla natura. Pensiamo anche ad esempio a quella frase abbastanza enigmatica che lei dice nel secondo atto al Alfredo “Sarò là tra quei fiori presso a te sempre”.

Uno si chiede, Ma là dove? Ma di quali fiori sta parlando? Dove gli da appuntamento?

In realtà io penso di avere trovato una risposta a questa domanda.

Sono i fiori dove lei per la prima volta bambina ha immaginato quest’uomo nei suoi sogni. Proprio per questo abbiamo aperto un taglio che è la ripresa dell’aria “Ah forse è lui che l’anima…”. La seconda parte di tradizione non si fa. Ho chiesto io di riaprirla perché là lei dice una cosa fondamentale che ci fa capire la sua storia. “A me fanciulla, ( quindi parla proprio di lei ragazza) un candido e trepido desire questi effigiò dolcissimo signor dell’avvenire, quando nei cieli raggio di sua beltà vedea e tutta me pascea di quel divino error”.

Ecco, qui lei spiega proprio questa sensazione di lei bambina che guardando il cielo, la natura, questi raggi del sole, la meraviglia della Normandia, intravede questo signor dell’avvenire, che non si sa bene chi è: Un Angelo, una visione, l’Universo, il tempo…non lo so. Ma lei racconta di questa esperienza come di una promessa. Quindi il riconoscimento di Alfredo da parte di Violetta avviene su questa base. Cioè lei identifica in Alfredo questa parte diciamo così, non so se chiamarla angelica…diciamo metafisica, che li lega attraverso questa unione con la natura.

Non è un caso che tutti e due vengano dalla campagna. Lui dal Sud e lei dal Nord. Lui dalla Provenza, il mare, il sole e la lavanda, e lei dalla Normandia.

E questo è un altro di quei temi forti e naturalistici che ci sono nell’Opera e sui quali abbiamo cercato di lavorare.

 

Abbiamo conosciuto Violetta. Ma chi è dunque Alfredo?

 

Violetta dice di lui “modesto e vigile…” e su questo abbiamo costruito il personaggio. Non è il tenore bello e affascinante che entra e conquista la donna dei suoi sogni. Se fosse stato così non avrebbe rappresentato nessuna novità per Violetta abituata al bel mondo e a uomini fascinosi. Qui invece Alfredo è un campagnolo, un bravo ragazzo, che arriva ad una festa dove sono tutti ragazzi del Jet-set. Il contrasto è evidente da subito. Questi nobilastri lo mettono in difficoltà e in ridicolo. Fa il suo ingresso con questo mazzo di rose rosse mentre c’è il Barone che regala a Violetta un bracciale di diamanti. E’ chiaro che giocano su piani diversi. Violetta è abituata al lusso e lui le offre dei semplici fiori che lei prende e butta nel cestello del ghiaccio senza dare inizialmente troppo peso a questo gesto.

Eppur è proprio questa modestia e questa dolcezza d’animo che farà breccia nel suo cuore.

Alfredo si sente così tanto fuori posto che quando arriva al brindisi si zittisce perché è mortificato. Vorrebbe scappare. C’è un altro momento molto tenero ed è quando lui le porta un biglietto che ha scritto per lei.

In un mondo che si esprime solo attraverso i telefonini, lui arriva con queste rose rosse e le porge un biglietto prima di cantarle l’aria.

E lei rimane con questo biglietto in mano e lo guarda come a dire: ma da dove sei venuto fuori?

Per lei Alfredo rappresenta una novità.

 

Alfredo è una novità così come del resto per Violetta è una novità l’amore.

Parliamo dunque della sua malattia. Come hai sviluppato questo aspetto?

 

Violetta è malata indubbiamente. Noi non facciamo una prognosi però mostriamo la sua malattia. Malata di cosa? Fondamentalmente è malata nell’anima. E’ un’alcolizzata.

Nel preludio Violetta ha in mano una bottiglia di alcol che nel terzo atto diventa una bottiglia d’acqua. Nel primo atto il tavolo è un piano bar, ma nel secondo atto le bottiglie sono sostituite da succhi di frutta. In tutto questo c’è il racconto di come lei guarisce dall’alcolismo.

Anche se poi, con l’abbandono di Alfredo, ricade nella sua malinconia autodistruttiva.

 

 

Come avete impostato il finale?

 

Nel finale la natura irrompe sulla scena.

In qualche modo Violetta è già serena. Comincia l’atto confidando al Dottore :”Mi confortò iersera sera un pio ministro”.

Ed è la prima notte che lei riesce a dormire.

Quindi lei parte da questa serenità. Lei è sofferente però con la testa, e con il cuore, è già da un’altra parte.

Ed è per questo che alla fine, per me, non muore.

Quando lei dice : “In me rinasce m’agita insolito vigor, Oh gioia!”. Lei rimane così.

Ed è li che si riabbraccia con quella bambina che ha visto durante tutta l’Opera.

 

Perché la scelta di ambientare La Traviata ai giorni nostri?

 

Abbiamo voluto una Traviata contemporanea come la voleva Verdi. E’ stata una sfida. Volevamo vedere davvero cosa sarebbe successo se la Traviata fosse stata ambientata qui, oggi. Ma soprattutto era importante cercare di capire cosa ha da dirci ancora questa storia. E’ stata ambientata come se si trattasse di una terrazza, frequentata dai ragazzi ricchi, nobili, anzi, più che nobili, nobilastri, della Trapani del 2022. E ci siamo chiesti: “Che effetto fa una storia così oggi?” E devo dire che secondo me fa ancora effetto.

 

Per quanto riguarda la parte musicale?

 

Io e Simone ( Il M° Simone Veccia ) abbiamo lavorato insieme fin dal primo giorno. Io assistevo alle prove musicali e lui alle prove di regia. C’è stata complicità.

Ad un certo punto, nel primo atto, faccio fare una cosa un po’ da cabaret.

Gastone, quando chiama il brindisi, viene avanti e fa un gesto al Direttore come a dire “Prego Maestro.”, e lo fa proprio per segnalare questo rapporto che c’è stato tra Regia e Direzione Orchestrale.

Con lui ho lavorato pagina per pagina sulle intenzioni per verificare che le cose che stavamo mettendo in scena potessero essere cantate nel modo giusto e con le intenzioni giuste.

L’opera è quasi integrale.

Abbiamo fatto tanto lavoro in poco tempo. Abbiamo realizzato questa produzione in sole due settimane e con costi bassissimi. E tutto questo è stato possibile grazie ad un cast fresco e giovane.

 

Ringraziandoti per averci descritto così bene il dietro le quinte, vorrei concludere con un ultima domanda. Com’è il mondo dell’Opera oggi?

 

Vedendo questi giovani che cantano dobbiamo pòrci il problema di cosa sarà il futuro dell’Opera. Bisogna porsi delle questioni anche di produzione. L’opera deve ritornare popolare. Deve essere un’industria dove si lavora veramente al top della qualità, che non vuol dire solo tanti soldi.

Si può risparmiare sui costi ma non dobbiamo mai risparmiare sulla qualità.

Come la Traviata che abbiamo portato in scena e in cui è quasi tutto riciclato, eccetto i costumi.

E la qualità si ottiene come? Con il tempo di lavoro.

Avere anche solo una settimana in più consente di portare a termine tutte quelle intenzioni che altrimenti rimangono solo abbozzate.

Quindi solo avendo abbastanza tempo si riescono a fare bene le cose.

 

 

Approfitto anche della disponibilità del nuovo Direttore Artistico Walter Roccaro per rivolgergli qualche domanda. Dopo un periodo turbolento per l’Ente, insieme all’Avvocato Natale Pietrafitta in qualità di Consigliere Delegato, approda all’Ente Luglio Musicale trapanese giusto in tempo per ripartire con la 74^ stagione lirica e con un programma all’insegna delle emozioni ma anche, e soprattutto, delle idee.

A lui chiedo di commentare il suo nuovo incarico e i propositi per la nuova stagione.

 

La nuova governance dell’Ente Luglio Musicale Trapanese ha dovuto fare un atto di grande coraggio e responsabilità perché se non avessimo deciso di metterci in gioco e di accettare queste nomine, l’Avvocato Pietrafitta quella di Consigliere Delegato ed io quella di Direttore artistico , sarebbe probabilmente saltata la stagione.

Semplicemente perché non ci sarebbero stati i tempi tecnici per poter svolgere il lavoro in maniera fruttuosa. Ci siamo assunti quindi questa responsabilità in nome, intanto, del valore sociale della musica e poi, in particolare, nei confronti della città.

Il teatro Di Stefano è un Teatro di tradizione, e la tradizione segna sempre un rapporto molto stretto tra il passato, il presente e il futuro e quindi ci è sembrato giusto “rischiare”. La mia nomina scade il 30 settembre: pertanto, non mi sembra opportuno parlare ora di programmi futuri; nel caso dovessi essere riconfermato, ne potremo parlare più in là.

 

Avete un programma che, oltre alla musica sinfonica, mette in scena tre grandi opere: Avete portato Tosca a Luglio, L’Elisir d’Amore è previsto per il 25 e il 27 Agosto, e il 4 e il 6 di agosto avete dato vita ad una Traviata con un nuovo allestimento che punta tutto sull’originalità e su un’idea forte legata alla natura. Come è nata questa idea?

 

Questa Traviata in realtà è un titolo voluto proprio dalla nuova governance in sostituzione de Il Trovatore che però, rispetto alle disponibilità di budget e di bilancio, di fatto non poteva essere realizzato, anche perché c’erano stati dei ritardi nella creazione delle scene. Quindi, messo da parte Il Trovatore, abbiamo pensato che un titolo fungibile potesse essere La Traviata perché ci consentiva di rimanere nell’ambito dell’Opera Verdiana e perché è un titolo tradizionalmente molto attrattivo.

Allora li è subentrato un criterio che è stato quello di fare di questo nuovo allestimento anche un po’ un simbolo della situazione che l’Ente stava vivendo e parlando con il Regista, con lo Scenografo e con il Direttore d’Orchestra si è trovata una modalità di lettura dell’Opera che sposava esattamente la nostra posizione di Ente, ossia la volontà di rinascere.

Parlo anche del Direttore perché la scelta narrativa è stata supportata da una lettura musicale molto asciutta in cui quello che si è inteso mettere in evidenza era veramente l’essenza di tutto. L’essenza dei personaggi, l’ essenza di Violetta, l’essenza della musica Verdiana.

Far riferimento all’eliminazione degli orpelli ha riguardato un po’ tutto l’allestimento, e in questo c’è stato davvero un grande gioco di squadra che si è svolto in maniera naturale, spontanea. C’è stata una casuale coincidenza di valori e questo ci ha consentito probabilmente, almeno dalla risposta del pubblico, di arrivare a segno.

La prima serata abbiamo avuto il sold out, la seconda un po’ meno, però in entrambe c’è stato una importante risposta da parte del pubblico

Soprattutto il trend è in ascesa.

Rispetto alla Tosca che già aveva avuto un grande successo, Traviata è andata avanti, e anche il concerto sinfonico rispetto al primo, che è stato quello inaugurale, ha segnato un incremento delle presenze.

Diciamo che il pubblico sta superando la diffidenza verso il clima turbolento che aveva percepito inizialmente e man mano si sta riappropriando della bellezza dell’Opera ritornando a Teatro.

Si è innescato nell’ente un circolo virtuoso dove il pubblico si è fatto parte di un’operazione positiva.

Noi abbiamo avuto il merito di innescare un meccanismo che è stato recepito dal pubblico. Ed è una grande soddisfazione.

Anche dal cast, dagli orchestrali, mi sono giunte parole positive motivate dal sentirsi come una grande famiglia.

Si respira un’aria serena e questo è molto bello. Perché quando si lavora per offrire al pubblico qualcosa che sia in grado di emozionare, ma anche di veicolare idee nuove, è importante mettere da parte un po’ i personalismi, le gelosie, le piccole invidie che nel mondo artistico sono anche abbastanza comuni. E che comunque possono essere non dico naturali ma abbastanza frequenti.

In questo momento nel nostro Ente questi tipi di meccanismi sembrano essere lontani, non appartenerci.

 

Quindi l’Ente sta recuperando il rapporto con il pubblico e sta offrendo un’ampia varietà musicale. Potete essere soddisfatti.

 

Certamente. Credo che la cosa più importante sia l’amore per la musica che sembra una frase fatta ma non lo è.

Io ho avuto la fortuna di essere allievo di un grandissimo pianista e musicista, il M° Bruno Canino, e lui sovente affermava questo concetto: è fondamentale essere bravi musicisti, bravi professionisti ma altrettanto importante è non perdere mai la scintilla dell’amore per la musica. E la stessa cosa vale per il pubblico. E’ importante andare a teatro per assistere ad un’opera, ad un concerto, non per abitudine ma perché si risponde ad un’esigenza. Fa parte di un modo di soddisfare una passione. Ed è la cosa più importante. Sia dal punto di vista musicale, sia dal punto di vista della funzione sociale che ha la musica.

Mantenere viva la scintilla ed alimentarla è un dovere per tutti, altrimenti diventa tutto troppo meccanico, non spontaneo, e direi sterile.

 

Non mi resta che concludere l’intervista augurando un buon lavoro ad entrambi e una buona stagione al pubblico di Trapani cha ha dimostrato di premiare questa lettura molto originale e profonda della Traviata.

di Loredana Atzei

 

 

 

Credit foto: Noemi Nicosia

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Salvo Piro, regista


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Il numerosissimo pubblico presente alla recita di Traviata

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"Selfie di scena" di alcuni protagonisti durante la recita di Traviata

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