Londra, martedì 29 marzo 2022
Tenore Jonas Kaufmann
Soprano Diana Damrau
Pianoforte Helmut Deutsch
“Die Geisterinsel, die schöne, lag dämmrig im Mondenglantz; dort klangen liebe Töne” (“La bella casa stregata, giace vaga alla luce della luna; là risuonano dolci note”). Forse questi versi di Heinrich Heine, tratti da uno dei brani del concerto (Meerfahrt, dai Vier Lieder, Op. 86 di Brahms) sono quelli che meglio racchiudono l’atmosfera magica di una serata che non ha deluso le (alte) aspettative della vigilia. Un Liederabend caratterizzato appunto dall’incontro fra la luce e le tenebre di due vocalità opposte ma entrambe ammalianti; da un lato quella pura, eterea, chiara e fluida di Diana Damrau, dall’altra quella complessa, amletica, brunita e a tratti animalesca di Jonas Kaufmann. Le due voci esprimevano tutte sfaccettature dell’anima romantica racchiusa nei lieder di Schumann e Brahms in programma e, come Yin e Yang, si incontravano, si guardavano, si attraevano, vorticavano l’una attorno all’altra, si compenetravano e sembravano contaminarsi.
Il programma, diffuso nel mio post precedente, consisteva, invece che di un unico ciclo, di circa una quarantina di lieder staccati (alcuni per una ed altri per due voci) assemblati da Helmut Deutsch in blocchi di sei-otto brani dello stesso autore, legati fra loro da una mini-trama o da un filo conduttore tematico. I due cantanti drammatizzavano il testo dei vari lieder anche con l’aiuto di piccoli movimenti scenici, alternandosi nel canto ma rimanendo sempre entrambi presenti sul palco, di modo che anche quello dei due che non cantava partecipava all’azione. L’operazione funzionava grazie alle grandi doti attoriali dei due interpreti e alla loro grande intelligenza e presenza sceniche. La dizione era sempre chiarissima, con attenzione e cura per ogni parola. Così, per esempio, i tre lieder che compongono Tragödie (dalle Romanzen und Balladen, Op. 64) di Schumann, risultavano quasi una mini-opera. Il duetto Vergerbliches Städchen (dalle Fünf Romanzen und Lieder, Op. 84 di Brahms) diventava un grande pezzo di teatro. Kaufmann e Damrau rendevano a pieno lo spirito scherzoso e pepato del pezzo, con lui che, con l’aria del ragazzo goffo e arso dall’amore, implorava “Mein Schatz… Ich komm’ aus Lieb zu dir, ach Mach Mir auf die Tür… So kalt ist die Nacht… Dass mir das Herz erfriert “ (“Mio Tesoro… vengo per amor tuo, aprimi la porta… la notte è così fredda… che il mio cuore congela”) e lei che con elegante malizia lo stuzzicava “Mein’ Tür ist verschlossen, Ich lass’ dich nicht ein… Löschet dein’ Lieb’… Geh’ heim zu Bett, zur Ruh” (“La mia porta è chiusa, non ti lascio entrare… se il tuo amore se ne va… va a casa a letto a dormire”). Molto piacevole anche Unter’m Fenster (dai Vier Duetten, Op. 34 di Schumann) concessa alla fine come bis.
Dal punto di vista della prestazione vocale, entrambi i cantanti offrivano un’esecuzione maiuscola e questo nonostante il contesto non ottimale. Infatti, l’enorme sala del Barbican, che a volte ricorda quasi un palazzetto dello sport per le dimensioni, ha un’acustica più adatta alle sinfonie di Shostakovich che a musica intimamente cameristica come quella in programma per questo concerto. Inoltre, apparentemente per ragioni legate al Covid-19, il programma di sala era disponibile in forma cartacea solo alla stampa, mentre per gli altri poteva essere consultato online, cosa che ne limitava la fruizione soprattutto alla parte meno giovane dell’uditorio non molto avvezza ad iPhones et similia. Ciò costringeva Kaufmann ad intervenire già all’inizio del concerto per spiegare il programma al pubblico; intervento che forse qualche problema lo ha creato perché nei primi minuti del concerto il tenore è apparso meno a fuoco che nei brani successivi. Comunque, non pare gli sia dispiaciuto avere l’opportunità di interagire con il pubblico e di fare qualche battuta, lui rigoroso Tedesco, verso i più ‘flessibili’ Inglesi, che hanno dismesso le maggiori restrizioni anti-Covid settimane prima degli altri paesi Europei (“ci hanno detto che per via di un certo virus che pensavamo in questo Paese fosse stato abolito per volontà popolare, non hanno potuto stampare il programma di sala”). Del resto, anche Damrau contribuisce all’atmosfera distesa della serata esclamando “We are all back!” (“Siamo tornati tutti!”) appena entrata in scena. Comunque, i due cantanti esprimevano una performance degna della loro fama.
Diana Damrau proponeva un’interpretazione di grande temperamento, teatrale, che enfatizzava, a seconda del brano, gli elementi drammatici (si veda l’esecuzione di Von ewiger Liebe, dai Vier Lieder, Op. 43 di Brahms) o umoristici (ad esempio in Therese, dai Sechs Lieder, Op. 86 dello stesso Brahms), anche grazie alla assoluta padronanza della tecnica. Il soprano tedesco sfoggiava un’emissione fluida, pura, alta, che le permetteva di giocare con i colori, passando con grande facilità ed elasticità da filati eterei a forti debordanti e riuscendo così a rendere al meglio le sfumature di ogni singola frase. La voce suonava sempre limpida, omogenea, avanti, di un bel colore chiaro, ben proiettata, correndo per la grande sala, che invece, per via dell’emissione più indietro, richiedeva qualche sforzo in più a Kaufmann. Il fraseggio risultava molto elegante, con un meraviglioso legato, che faceva risaltare la linea vocale. Particolarmente emozionanti erano i pianissimi quasi al limite della percettibilità, ma perfettamente udibili da ogni parte della sala, su “In deinem Lied ein leiser Widerhall” ( “Un dolce eco nel tuo canto” in Nachtigall dalle Sechs Lieder, Op. 97 di Brahms) e su “Ein Jüngling hatte ein Mädchen lieb; sie flohen heimlich von Hause fort ” (“Un giovane amava una ragazza; insieme fuggiron di casa” in Es fiel ein Reif in der Frühlingsnacht, da Tragödie, Op. 64 di Schumann). Particolarmente efficaci i lieder più lirici (ad es. Es Träumte mir, dagli Acht Lieder und Gesänge, Op. 57, Geheimnis, dai Fünf Gesänge, Op. 71 e Meine Liebe ist grün, dai Neun Lieder und Gesänge, Op. 63, tutti di Brahms ), interpretati con profonda e sublime dolcezza.
Sulla voce di Jonas Kaufmann molto è stato scritto e anche io, da convinto sostenitore del canto ‘all’italiana’, ho, per ragioni estetiche, delle riserve su alcune sue interpretazioni verdiane, pucciniane e veriste, pur riconoscendone la grandezza. Nel repertorio liederistico, però, la sua voce appariva funzionare senza sé e senza ma. Prima di tutto, il timbro è assolutamente splendido, con tonalità difficili da trovare in altre, anche bellissime, voci tenorili. Inoltre, tutti gli aspetti della sua vocalità, inclusi quelli meno ortodossi, contribuivano a dare vita ai chiaroscuri e alle atmosfere lunari tipiche del lied tedesco. In altre interpretazioni, come quelle di Gedda, Prey o della stessa Damrau, l’inquietudine e la sehnsucht (nostalgia) sembrano quasi sublimarsi e risolversi in una dimensione metafisica e apollinea. Questo la voce di Kaufmann non lo lascia accadere; anche nei lied più sereni c’è sempre un’ombra, una tenebra, la traccia del conflitto fra uomo e natura, fra Io e non-Io, che conferiscono alle sue interpretazioni un quid misterioso e affascinante. In questo senso, particolarmente efficace appariva l’esecuzione dei lieder più drammatici e impetuosi come Stille Tränen (dagli Zwölf Gedichte, Op. 35), Ach wende diesen Blick, Lehn deine Wang’ an meine Wang’ (dai Vier Gesänge, Op. 142), entrambi di Schumann, e An Die Tauben (dai Lieder und Gesänge, Op, 63) di Brahms. Ad ogni modo, nonostante, come sappiamo, l’emissione privilegi la cavità, la voce aveva grande smalto, con acuti squillanti. L’interpretazione era appassionata, ma sempre rispettosa dei dettami e del gusto propri del repertorio liederistico, la parola era scolpita nel bronzo. Soltanto il modo di gestire alcuni passaggi nella zona medio-alta del registro, con note lasciate aperte, indietro e spesso sbiancate, soprattutto nei salti di quinta o di sesta, risultva a volte sgradevole (si vedano Windmung da Myrthen Op. 25 e Geständnis dalle Spanisches Liederspiel, Op. 74, entrambi di Schumann). Tuttavia questa emissione strana generava anche momenti di grande effetto, come il pianissimo su “Ferne, ferne, ferne sang ein Nachtigall” (“Ma lontano, lontano, lontano canta un usignolo” in Waldenseinsamkeit dai Sechs Lieder, Op. 85 di Brahms) o su “So wundersüß, so wunderlieblich ist in der Welt kein andrer Hall” (“Nessun altro suono sulla terra è sì meravigliosamente dolce e amabile”, in Wir wandelten, dai Vier Lieder, Op. 96 sempre di Brahms).
Nonostante l’assenza di pezzi per solo pianoforte, di solito inseriti nei recitals per far prendere fiato ai cantanti, Helmut Deutsch mostrava tutta la sua abilità e statura non solo di accompagnatore, ma di pianista di pieno diritto, oltre alla sua profonda conoscenza del linguaggio liederistico. L’accompagnamento si adattava ai cantanti come un abito su misura, seguendoli con naturalezza nelle variazione dinamiche, letteralmente recitando assieme a loro. Il pianoforte non prevaricava mai le voci, ma l’articolazione elegante e il suono rotondo erano ben apprezzabili ad ogni passaggio. Particolarmente notevoli l’accompagnamento appassionato e il suono quasi tardo romantico in Verzagen (dai Fünf Gesänge, Op. 72 di Brahms), il senso di espansione e di vuoto trasmesso dagli accordi del pianoforte in Anklänge (dai Sechs Gesänge, Op. 7 sempre di Brahms) e l’atmosfera incantata creata dal tappeto armonico in Ihre Stimme (dai Sechs Lieder, Op. 96 di Schumann). Alla fine, meritatissime ovazioni per tutti da una sala gremita in ogni ordine di posto.
di Kevin De Sabbata
Foto credits: Mark Allan/Barbican
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