Con piacere ospito sul nostro sito un bellissimo approfondimento a cura del collega e direttore artistico del "Festival Jommelli-Cimarosa" di Aversa il baritono Carmine Monaco d'Ambrosia.
Il suo articolo è praticamente uno studio sul Requiem di Jommelli. Si è speso veramente con dovizia di particolari e riferimenti storici, spero che i lettori vorranno approfondire con esso l'ascolto di questo bel capolavoro sacro barocco.
Il Requiem sarà eseguito il prossimo 14 giugno alle ore 20 presso la Cattedrale di Aversa durante il Festival, sarà sicuramente una occasione importante per godere dal vivo di questa ispirata e ricercata composizione.
Buona lettura a voi,
Alessandro Ceccarini, adm
Un Requiem lontano da Napoli - di Carmine Monaco d'Ambrosìa
Galeotte furono le due opere di Jommelli, L’Ezio ed il Didone, che furono rappresentate a Stoccarda nel 1751, e che fecero in modo che l’allora Duca di Würtemberg, Carlo Eugenio II, che aveva dotato la città di un modernissimo teatro e di una compagine orchestrale di altissimo livello, apprezzasse il compositore fino ad affidargli il ruolo di Maestro di Cappella. E Jommelli seguì la volontà del Duca, amante dell'opera italiana, trasferendosi nella città tedesca nel 1754. Ad esso furono affidate tutte le attività musicali di Corte.
Dalla composizione di opere buffe e serie, pasticci seri e comici, intermezzi buffi, alla composizione di musica sacra per le diverse occasioni. In verità, questa ultima attività fu ridimensionata dal fatto che, nel ducato di Carlo Eugenio II, la religione cattolica, alla quale aveva aderito l’intera famiglia regnante, non era la religione di stato, essendo all'epoca il protestantesimo quella più frequentata. Di fatto Jommelli preferì affidare la composizione di liturgie a compositori minori che frequentavano, a diverso titolo, la corte. Il Requiem, quindi, è una di quelle rare situazioni nelle quali il Jommelli sacro si potè esprimere in terra tedesca.
L'occasione sorse per la dipartita della madre del Duca Carlo Eugenio, avvenuta il 1 febbraio del 1756, e costrinse Jommelli ad un tour de force che garantisse per la celebrazione liturgica prevista per il 9 febbraio a Hofkirche l'esecuzione di una messa da morto di grande valore musicale ed emotivo. La leggenda dice che il Requiem fu composto in soli tre giorni, così pare sia scritto su una copia del Requiem presente nella collezione che Giuseppe Sigismondo, dilettante ed amico di Jommelli, ha reso possibile arrivasse fino a noi. Non si sa se la cosa risponde a verità. Probabilmente si trattò di una settimana, ora più ora meno. Ma non volendo sottilizzare, ed ironizzare, bisogna dare atto che Jommelli dovette fare di necessità virtù. E per questo ricorse alla parodia di altre parti di opere sacre già scritte in Italia, e non conosciute in Germania, alla tecnica del “da capo”, che esso stesso negli anni a venire cercherà di limitare, ed a citazioni di altre sue opere teatrali. Un modo come un altro per fare presto, ma che ebbe il merito di fare in modo che avvenisse una cernita, da parte dell'autore, di quelle pagine e di quegli accenni melodici che maggiormente gli erano rimasti a cuore durante gli anni precedenti. Il Requiem, sotto questo aspetto, costituisce una vera e propria antologia della ispirazione di Jommelli fino a quel periodo.
In realtà l'esecuzione che oggi si può fare di questa pregiatissima opera può solo avvicinarsi a quella che vide la luce la sera del 9 febbraio del 1756, mancando totalmente qualsiasi riferimento alle parti che Jommelli lasciò “senza musica”, come il “Te decet Hymnus”, il Graduale ed il Tractus, affidati, secondo una tradizione in voga nelle celebrazioni liturgiche di Stoccarda e di Dresda, proveniente da quella propria delle celebrazioni rinascimentali, all'esecuzione di Gregoriani cantati dai fedeli. Per quanto attiene l’organico cui normalmente si affida il Requiem, ci sono diversi punti di vista. In una lettera che il Duca Carlo Eugenio II scrive ad un suo amico è riportata la nota spese dell'esecuzione del Requiem. In essa si parla di un organico ristrettissimo limitato a 4 violini, una viola, un violoncello, 3 contrabbassi ed un organo, che in quella occasione fu suonato dallo stesso Jommelli (Pagato 70 Gulden, meno della Marianne Pirker, soprano a fine carriera ma dai passati prestigiosi, che ne percepiva 120). Obiettivamente una compagine del genere ci pare alquanto sbilanciata, laddove viola e violoncello verrebbero fagocitati, a livello di resa sonora, dai tre contrabbassi e dall’organo.
Ci piace pensare che tale nota si riferisse a “musicisti aggiunti” ad una compagine preesistente, che poi era quella della quale Jommelli faceva stabilmente uso nelle sue rappresentazioni. Inoltre la tonalità portante, quel mib maggiore che contraddistingue l'intera composizione, potrebbe far pensare anche all’apporto di trombe che maggiormente avrebbero aggiunto solennità e forza alla rappresentazione. Ma siamo nel campo delle ipotesi. La cosa certa è che il Requiem di Jommelli, che per 20 anni rimase ineseguito e che rivide vita solo il 27 giugno del 1774 a Strasburgo dove il compositore Franz Xaver Richter lo fece eseguire, con una sua orchestrazione, in occasione della morte di Luigi XV, divenne pian piano uno dei brani sacri maggiormente di prestigio, principalmente nell’area germanica. Tanto da essere eseguito anche per la morte di Massimiliano III di Baviera nel 1778 e per le celebrazioni del 1788 a Vienna dedicate al grande compositore Gluck, sentore di quanto il nostro Jommelli fosse tenuto in grande considerazione anche dagli “addetti ai lavori”.
In Italia il Requiem ebbe diffusione grazie all'opera di Nicola Sala che nel 1781 integrò la scrittura di Jommelli con alcune sue creazioni ed ad una partitura, revisionata da Gherardo Gherardi, che ebbe maggiormente diffusione nel nord. Una curiosità: Il 31 gennaio del 1823, presso la Basilica dei XII Apostoli in Roma, venne allestita una celebrazione di commemorazione della figura del grande scultore Antonio Canova. La chiesa fu decorata con un imponente scenografia da Giuseppe Valadier che volle riproporre le opere più famose del grande scultore morto a Venezia l'anno precedente.
Ebbene in quella occasione venne eseguito il Requiem di Jommelli con l’uso, addirittura, di una doppia orchestra.
Il baritono Carmine Monaco d'Ambrosia